Zehra Doğan, artista curda di 31 anni, ha passato due anni e nove mesi nelle prigioni turche per ‘propaganda terroristica’, come è stata definita l’esposizione di una delle sue opere nei suoi social media. Aveva dipinto la bandiera turca su edifici distrutti. E questo non è piaciuto per niente alle autorità. Non ha aiutato il fatto che avesse fondato la prima agenzia di stampa interamente femminile.
Le carceri turche non devono essere un luogo ameno. Quando ci penso mi viene in mente il film ‘Fuga di mezzanotte’ e mi vengono i brividi. Artisti di fama internazionale, come Ai Wei Wei e Banksy (che le ha dedicato un enorme graffito, il Bowery Wall a New York) si sono fatti avanti per chiedere la sua liberazione, ma invano.
In prigione non aveva tele o pennelli. Ma la voglia di dipingere non mancava. Zehra ha perciò dipinto su quello che trovava, e con quello che trovava. Un pezzo di camicia, il telo della doccia, carta di sigarette, caffè, tè, avanzi di cibo, sangue mestruale (e non solo il suo).
Dipinge, ovviamente, donne. Occhi grandi, quasi spalancati (come comune nell’iconografia bizantina) corpi scomposti. La mostra era (bisogna usare il passato, perché la Lombardia ora è diventata arancione e i musei hanno richiuso) al Pac, in una sala speciale chiamata Project Room e in una mostra intitolata Il Tempo delle Farfalle.
Chiude la mostra l’opera Camicia, una camicia, appunto, che porta le frase-ricordo scritte dalle carcerate al momento della loro liberazione.
Il Pac riaprirà presto. Almeno speriamo. La mostra di Zehra resta aperta fino al 30 maggio.