Questo film realizza un’autentica magia, in cui si fondono una storia fantastica che ha un andamento teatrale, la rappresentazione della politica come cinema, e della poesia che diventa politica. Un film prezioso la cui storia è tratta da un libro – vincitore del premio Campiello – il cui autore è lo stesso regista del film.

In questo gioco di specchi, il film racconta la storia di una sostituzione di persona e di una  “doppia identità”: un politico stanco e deludente, che sta per condurre al disastro finale il proprio partito, avvilito e disprezzato, si rifugia all’estero, all’insaputa di tutti, anche di sua moglie e del suo braccio destro, che propongono una sostituzione di persona al gemello del politico,  filosofo e  poeta malato di mente.

E’ proprio grazie al vecchio espediente del  “doppio” che il regista crea con leggerezza ed  eleganza, poesia e umorismo un’opera  stratificata: c’è la politica e il suo linguaggio trasformato dalla poesia che, proprio attraverso la poesia diventa meno fumoso e astratto e riesce a trascinare gli entusiasmi ( e risalire nei sondaggi).

C’è poi la riconquista della stima di sé, che passa attraverso il lavoro manuale; c’è la riscoperta dell’affetto e della tenerezza grazie a una bimba; c’è la generosità di chi accoglie un vecchio amore dopo ben venti anni, ospitandolo nella propria famiglia.

E c’è anche il bel parallelo fra il cinema e la politica come finzione, grazie a un inserto dal vero, di un Federico Fellini indignato e impegnato, che pochi ricorderanno.

Allegra e triste favola filosofica, allegoria del potere e del cambiamento in un Paese malato, e di come si possa provare a “essere noi stessi”, è un film di rara coerenza narrativa, senza nodi irrisolti e senza sbavature.

Perfetto e inevitabile è l’ambiguo finale, che ci lascia andare via con la domanda sulle  maschere che indossiamo sul palcoscenico della vita.

Vila la liberta’, regia di Roberto Ando’, con Toni Servillo, Valerio Mastrandrea, Valeria Bruni Tedeschi, Micaela Cescon.