Lo dico subito: uso la parola ‘donnette’ con ironia. Non sia mai che io pensi (proprio io!) che ci sono lavori da donna e lavori da uomo. Sta di fatto che quello della impiraressa, tipicamente veneziano, era un lavoro da donne.
Le impiraresse erano quelle che, aghi lunghi alla mano, infilavano perline microscopiche di pasta di vetro, chiamate conterie, per farne delle collane a molti fili.
Un lavoro di pazienza infinita, da perderci la vista (e le impiraresse a fine carriera infatti erano spesso semi-cieche). Le conterie sono grandi quanto capocchia di spillo e le donne usavano tenerne una grande quantità in una scatola chiamata sessola da cui l’ago pescava a caso fino a che il filo non prendeva forma.
Oggi, che di pazienza in giro ce n’è pochina, le impiraresse sono praticamente sparite.
‘Siamo rimasti solo noi’, affermano Stefano e Daniele Attombri. Due uomini che infilano perline?
‘Da ormai trent’anni e con molta soddisfazione’, ammettono i due fratelli che producono gioielli bellissimi con perle di pasta di vetro di Murano degli anni ’30. Certo, la concorrenza dalla Cina è spietata, anche a Venezia. Le collane dozzinali in vendita a ogni angolo per pochi euro non hanno niente a che vedere con quelle fatte a mano, con una passione e una pazienza infinite dalle mani dei due fratelli che non hanno mai voluto farsi aiutare da nessuno.