“Abbiamo un sacco di stereotipi che frenano i turisti: arretratezza, povertà, zingari”, mi diceva Daniel, la mia guida in Romania e organizzatore di tour. Tutto vero. La Romania è un Paese povero, in parte arretrato e ci sono un sacco di zingari (con cui i rumeni hanno un pessimo rapporto e che tengono a distanza).
Eppure è un paese bellissimo, nel quale ho passato dieci giorni e in cui ho visto cose che mi rimarranno nel cuore.
Non posso parlare di tutta la Romania, ma della Transilvania, regione abbastanza montuosa a nord del Paese, che si raggiunge con un volo su Cluj Napoca. La prima tappa è stata Sibiu, una cittadina di origine germanica (come molti dei posti che ho visitato) di meno di 500 mila abitanti. Be’, Sibiu è bella. Anzi, molto bella.
Ha strade acciottolate, un centro storico perfettamente conservato, case in stile sassoneIl centro storico, la cattedrale, l’origine tedesca, i primi abitanti che si dedicavano alla lavorazione del ferro. E, soprattutto, quelle finestre che sembrano guardarti continuamente, ad ogni passo.
Il mio era una viaggio fotografico. Ovvio quindi che abbia fatto molte, molte foto (circa 1500 in 10 giorni). Ovvio anche che, contrariamente alle mie abitudini, mi sia dovuta svegliare all’alba per andare a fotografare le montagne avvolte dalla nebbiolina mattutina o l’alba.
Nonostante la fatica (per me alzarmi alle 5.30 è una fatica, che capisco possa non essere condivisa), il risultato valeva la pena. Credo questa foto, scattata all’alba sulle montagne di Sirnea, lo dimostri.
Il paesaggio rumeno è meraviglioso, la gente è affabile, il cibo (va ammesso) non esattamente sofisticato e diciamo che non è che non vedi l’ora di andare a pranzo o a cena, ma in generale ho trovato tutto molto bello e qualcosa l’ho trovato veramente eccezionale.
Per esempio il villaggio di Viscri, patrimonio dell’Unesco. Viscri venne fondato dai Sassoni nel 1200 circa, che costruirono casette basse dipinte di azzurro o – più raramente – rosa. Una chiesa fortificata che poteva servire da rifugio e da magazzino in caso di attacco (non a caso ogni famiglia aveva il suo posto per nascondere sementi e lardo) e poco più. Non ci sono negozi, ci sono un paio di caffè molto basici. Stop. Eppure vent’anni fa il Principe Carlo d’Inghilterra è venuto qui e si è innamorato del posto al punto da comprarsi una casa. E certo non è un tipo abituato ad andare in posti brutti. Carlo tutti gli anni passa qualche giorno a Viscri, insieme al suo botanico di fiducia alla ricerca di fiori rari. La sua casa è stata donata a una fondazione ed è visitabile (Carlo ne ha comprata un’altra, che si raggiunge solo con due ore di cammino) e a Viscri, che è un posto da lasciarci il cuore, all’alba le mucche escono per andare al pascolo, tornano al tramonto, i contadini si muovono in carretto e oche e galline sono libere di razzolare per l’unica strada che, tra l’altro, non è nemmeno asfaltata.
Un paese cristallizzato nel tempo, dove si vive ancora come duecento anni fa. È in assoluto il posto più bello che ho visto, ho dormito in un luogo bellissimo, Viscri 125, e ci tornerei subito. Se te lo dice una che ama il cemento e i grattacieli e vivrebbe a New York, puoi credere che questo villaggetto abbia qualcosa di speciale.
Da Viscri, con un’ora di carretto trascinato da due cavalli in mezzo ai campi, sono stata in un alpeggio, una baracca in cui due pastori passano l’estate con il proprio gregge. Non credo di aver mai visto niente di simile nella mia vita. Condizioni di vita difficilissime (i due pastori dormono distanti, in quella che a me pareva la cuccia dei cani, per poter essere pronti nel caso di attacco da parte dei lupi o degli orsi), non hanno il bagno, hanno un piccolo fornellino sul quale prepararsi da mangiare.
Annovero questa tra le esperienze più belle e forti del mio viaggio. Che può fare il pari con la visita alla casa della famiglia zingara, un’esperienza che non credo mi possa ricapitare. Al di là di tutto quello che si può pensare degli zingari (e io per prima non ne penso bene) sono stata accolta con grande calore, in totale sicurezza e mi è piaciuto ascoltare le storie dei loro matrimoni combinati quando hanno 13-14 anni, il loro lavoro di calderai (che dubito possa mantenerli9, vedere la loro casa, scattare tutte le foto che volevo, come quella della sposa di 16 anni che ti metto qui sotto.
Una delle ultime tappe è stata il lago (tossico) di Geamana, un villaggio dei monti Apuseni abitato fino al 1978, quando Ceausescu obbligò i residenti a lasciare le loro case per poter riversare nella piana le scorie (probabilmente tossiche) della vicina miniera di rame. A causa di questo, il villaggio venne totalmente sommerso. Si vedono ancora alcune case e il campanile della chiesa, ma dato che l’acqua sale di circa 80 cm ogni anno, presto anche quello che rimane sarà sommerso da un’acqua che ha dei colori irreali, che a seconda della luce sono verde chiarissimo, grigio o rosso.
La miniera non è più sfruttata, adesso. Ma nei suoi momenti migliori produceva 11mila tonnellate di rame all’anno e aveva perciò bisogno di buttare da qualche parte le scorie. Poche delle famiglie del villaggio, non più di una ventina, hanno scelto di restare e vivono, ora, al limite dell’acqua che nel giro di poco potrebbe costringerli ad andarsene.
Tra queste una donna che ho incontrato mente portava al pascolo le sue mucche e che mi ha raccontato della sua resistenza.