A Venezia, la città che tutti conosciamo (e in cui torniamo sempre con piacere ) in Calle della Fenice dov’è l’ingresso degli artisti, e anche alle gallerie del teatro, c’è un luogo particolare.
In questa stretta e corta calle, che sbuca in una corte con un delizioso pozzo in cui si possono incontrare a volte vezzose damine in abiti settecenteschi, che fumano e chiacchierano con l’iphone in mano in attesa di partecipare alle prove, oppure sperduti turisti che non sanno dove sono finiti, c’è un minuscolo laboratorio di un’artista singolare.
Dalla vetrina esterna potrebbe sembrare una colorata e allegra esposizione di “cose veneziane” note: piccoli oggetti, carta, stoffe, disegni: in realtà ogni pezzo è non solo fatto a mano dall’autrice, ma ogni oggetto ha della consuetudine solo l’apparenza.
I preziosi quaderni per raccogliere i pensieri sono rivestiti uno per uno con le raffinate stoffe di Rubelli, volutamente scelte fra quelle di lino grezzo e multicolore, chiuse con sottili lacci serpenteschi, anche loro di delicate sfumature, accompagnati da una “perla” finale, una sola “soffiata”di Murano.
E ancora: le borse“shopping”, così comode, tutte solo di “Rubelli vestite”, e poi carte preziose, di molte misure che, con una minuzia da certosino, contengono il disegno, sempre uguale e sempre diverso, di un palazzo che ha una fosca storia, Ca’ Dario. Costruito su un cimitero dei templari o influenzato dal talismano sul portone acqueo del palazzo di fianco, non si sa, ma Ca’ Dario ha una fama sinistra – consolidata nei secoli – di portare alla distruzione e alla rovina i suoi acquirenti.
La facciata di questo palazzo è però singolare, fra le già molte memorabili che si affacciano sul Canale: sembra disegnata da un bimbo, con i rosoni di marmo policromo e i camini irregolari. Ed è proprio l’aspetto infantile che qui è sottolineato: minuscole murrine rendono scintillanti i rosoni; i camini sono allegri imbuti acquarellati; i portoni e le finestre sono rivestiti da eleganti, minuscole stoffe o microscopiche carte pregiate.
I disegni, poi, di stilizzate figure, che sono in realtà una folla di maschere, o edifici “umanizzati” (come la deliziosa “Fenice”), ricordano irresistibilmente quelli di Brunetta, la disegnatrice del secondo dopoguerra dalla matita colta e leggera, elegante e cosmopolita, che pubblicava sulle riviste “femminili” dell’epoca.
Zacaria è un nome maschile, ma l’autrice è una giovane donna dai capelli color rame: perché Zacaria, anzi Zacaria’s? Perché “… è a Venezia, (e dunque una c in meno); perché si rivolge a un pubblico internazionale, (e dunque la s del genitivo sassone), e perché é così che avrebbe chiamato un figlio, ma ha tre figliolette…”
Un posto da non perdere, da visitare assolutamente.