Spasso Food, un bel gioco di parole, Spasso e A spasso, festeggia e illustra già nella presentazione l’interessante esperimento partito nella capitale italiana a metà di dicembre 2013: offrire uno street food che può comprendere un menu completo “da tavolo”.
La tradizione del “cibo di strada” è in Italia gloriosa e antichissima, come è più che in altri Paesi: dai pani ca’ meusa siciliani alla panissa ligure, dalle olive ascolane alla trippa fiorentina, dallo scapece di pupiddhi pugliese ai fiori di zucca fritti romani agli gnummareddi lucani alla pizza, napoletana e universale.
Quello che in Italia manca però – e a Roma, capitale e metropoli visitata da milioni di visitatori, difettava egualmente – è la possibilità di portar via in piccoli contenitori da asporto e monoporzione, fatti appunto anche per essere usati in strada, proprio il cibo da tavola, che si consuma solitamente seduti.
Pastasciutta, zuppe del periodo, carne, qui tutto è in deliziosi contenitori mono, gradevoli per grafica, capacità di tenere il calore e comodità d’uso. E ci si può finalmente sbizzarrire con i romanissimi pollo ai peperoni, matriciana (realizzata sulla base di ricettari del XIX secolo), gricia, panzanella, saltimbocca alla romana, e poi insalate, dolci, e molto altro: contaminazioni straniere e persino piatti, anzi “bicchieri” dietetici.
Questa offerta, così comune in altre città come, Londra, Bruxelles, per non parlare di New York, è da noi del tutto estranea: perchè è più radicata la consuetudine che si mangi sì “al volo”, per piacere o perché costretti, ma anche perché i piatti “veri” sono riservati alla tavola (“Mettiamo i piedi sotto il tavolo?” significa infatti a Roma, e non solo, mangiare tout court ).
Da questo punto di vista, Spasso food rappresenta l’autentica scommessa della rottura di tradizioni e di abitudini più radicate di quanto sembri, e vincerla significherà far scomparire – o almeno ridurre – la convizione che sughi e cotture accurate siano destinati solo al piatto e al chiuso. Finora sembra una scommessa vinta, e noi che siamo viaggiatrici ed esploratrici non ci siamo fatte sfuggire questa esperienza.
Lo sfondo è quello dell’Appia Nuova, una lunga via di negozi, in una zona semicentrale raggiungibilissima in metropolitana, e con molti altri mezzi pubbici, già teatro di soste memorabili, addirittura con ingorghi stradali per un noto “tiramisu” e per i supplì di tradizione nel quartiere. Il locale è minuscolo, con banco espositivo a vetri, sgabelli a destra e a sinistra e cucina a vista sul fondo; attorno, vetri e bianco-nero-grigio-rosso romano alle pareti.
Alla base della scommessa ci sono collaborazioni con autentiche “firme” della ristorazione, (come il sommo Bonci per tutto ciò che è lievitato, Tenace per il pescato, Abbatista per la carne, come è debitamente illustrato su un poster a parete), materie prime italiane certificate, soprattutto ci sono l’entusiasmo e la sapienza dei due giovani fondatori: un romano – giornalista, docente di gastronomia regionale all’Università (dove aveva conseguito il master in “Storia della Cucina Romana”!) e critico del “Gambero Rosso” – e un imprenditore piemontese, di studi giuridici ma appassionato di gastronomia.
Insomma, da visitare e da provare assolutamente, per romani e per turisti di passaggio.
L'”eresia” della proposta colpisce anche noi viaggiatrici intrepide, ma pur sempre italiane, che, frequentando e usando l’offerta multiforme e disinvolta del “resto del mondo”, dell’ italica tradizione amiamo e rispettiamo soprattutto la qualità.
Qui la qualità è più che rispettata, e Spasso food appare come un omaggio alla città di Roma, e a quello che gli stessi proprietari definiscono come piacere, memoria, infanzia. “Per questo abbiamo deciso di giocare con la tradizione, proponendo i classici talvolta in consistenze nuove”.
Insomma, un nuovo percorso, una nuova strada, un nuovo cammino: le viaggiatrici, rassicurate, non potranno che condividere.