Cosa vuol dire essere disabile e donna? “Ci sono un sacco di problemi che hanno a che fare con le donne e che rendono la disabilità ancora più difficile da sopportare”, racconta Silvia, 27 anni, supplente di materie umanistiche in scuola media provincia di Milano. Silvia ora è disoccupata e sta aspettando un altro contratto di supplenza. Ma durante il primo lockdown ha fatto molta strada. Metaforica, perché dalla nascita Silvia è su una sedia a rotelle, affetta da distrofia muscolare congenita.  “Ho fatto molta attività di divulgazione con il Gruppo Donne UILDM, che raggruppa le donne affette da distrofia muscolare. Ci occupiamo dei diritti delle donne con disabilità, che vanno dalla maternità, alla sessualità, alla cura del corpo, alla ginecologia, alla violenza nei confronti delle donne disabili”.

Già. Noi che andiamo dal ginecologo, dall’estetista, dal parrucchiere, abbiamo mai pensato se  questi appuntamenti comuni e normali nella vita di ogni donna sono accessibili per una persona che si muove con difficoltà? O quale consapevolezza una donna con disabilità abbia nei confronti del suo corpo?
“Stiamo facendo operazione di divulgazione. Non tutte hanno questa consapevolezza. E ci rivolgiamo anche ai medici, che non sempre sono preparati per accogliere le donne disabili”.

Il questionario che Silvia e le sue amiche stanno approntando è un “trampolino di lancio”.  “Vogliamo lanciare la palla e speriamo che venga raccolta. Molti ambulatori non sono pronti ad accogliere donne con disabilità, non solo motoria, ma anche, per esempio, uditiva. Se gli ambulatori non sono pronti ad accogliere queste donne, loro con ci vanno, a discapito della loro salute”.

Una stanza tutta per noi’ è un insieme di interviste a donne con disabilità, che si sono specializzate in vari ambiti: blogger in carrozzina, per esempio, viaggiatrici, modelle, sportive, performer e molto altro. Donne che raccontano quali difficoltà hanno trovato nei loro ambiti. Le loro testimonianze vanno sulla pagina Facebook del Gruppo Donne UILDM e il successo è stato immediato e inaspettato, grazie al tono leggero e all’atmosfera informale.
“La disabilità non è un mondo a parte, ma una parte del mondo”, conclude Silvia.

Un ambito che sta molto a cuore a Silvia e al suo gruppo, perché se ne parla poco, è quello della violenza nei confronti di donne disabili. È un argomento che a volte viene messo da parte anche dall’associazionismo femminile, che pure si proclama a tutela dei diritti delle donne. Probabilmente perché è un tipo di violenza diverso alla comune violenza di genere, dove spesso il violentatore non è il partner o un familiare, ma l’assistente o un caregiver. Può essere una donna o un fisioterapista. “Spesso le donne con disabilità non si rendono conto di aver subito violenza o fanno molta fatica a denunciare. I centri antiviolenza non sempre sono accessibili e qualche volta non sono preparati. Anche il fenomeno del revenge porn colpisce le donne disabili con risultati più gravi”.

Per Silvia il lockdown è stato positivo: il gruppo Facebook è cresciuto, il lavoro di consapevolezza è aumentato. La sua vita non è cambiata (a parte aver iniziato le lezioni di yoga in carrozzina), la sedia a rotelle che l’aiuta a spostarsi continuerà a essere la sua compagna di vita. Ma l’attenzione al problema è cresciuta. E questo, per Silvia e le donne come lei, è un passo enorme.

P.S. Secondo il sito donne.it i disabili in Italia sono 4 milioni, pari al 7,2% della popolazione, dei quali il 54,6 donne sotto i 64 anni.