Non è solo la biennale del cinema ad attirare l’attenzione di cinefili e cineasti da tutto il mondo. Negli stessi giorni, a due passi dal Lido e nella cornice antica del Palazzo Michiel, organizzato e presentato dai fratelli argentini Joaquìn e Tomàs Gomes, in partnership con l’European Cultural Center e patrocinato dal CAI, si è tenuto l’ONA Short Film Festival.

Parole d’ordine: amore per la natura, sport e coscienza ambientale.

E la presenza femminile non è mancata. Che fosse dietro o davanti la macchina da presa, brevi documentari hanno testimoniato di un ruolo femminile che sempre più rompe gli schemi e le barriere di genere. Donne forti, fisicamente forti, moralmente forti. In luoghi della natura tra i più sperduti e affascinanti.

Ona short film festival

La regista Lacy Kemp, in Mountain Bike Meets Painting, presenta Mikayla Gatto, giovane statunitense capace di unire pittura e mountain biking all’insegna del motto “Sometimes you have to create what you wanna be a part of”, e della scoperta che possiamo essere quello che vogliamo, anche più cose insieme. A spingersi all’estremo è poi la francese Julie Gautier, che si immerge senza ossigeno nelle acque profonde di Messico, Filippine, Francia, Mauritius, Giappone, Polinesia e Finlandia per filmare il suo compagno di vita e di apnea, costruendo una danza letteralmente breathtaking tra balene e coralli. Il risultato è una straordinaria opera visiva, One Breath Around the World, che trascina in luoghi inimmaginabili, stesso obiettivo della australiana Krystle Wright, che dopo essere stata a caccia di uragani per le riprese di Chasing Monsters, riprende  le sue sfide solitarie, dalle immersioni, alle escursioni nel deserto, all’inerpicarsi su vette innevate (in In Perpetual Motion). Vediamo anche i primi piani del suo volto maltrattato dal caldo e dal freddo, fiero e insieme pensieroso, che ci ricorda  quello della statunitense Jenny Abegg. In Speak to Me Softly, diretto da Henna Taylor, è la sua stessa voce, fuori campo, a sussurrare le sue paure più intime, paura di non farcela. Nonostante ciò, continua a scalare le vette a mani nude. Le difficoltà non sembrano fermare neanche la neomamma francese, che insieme al suo compagno e al figlio di un anno, si lancia, o meglio si appende, alla Shiba Tower, nella polverosa Etiopia del Tigray. Alla base di The Towers of Tigray sta proprio l’idea di essere curiosi “and not being afraid of the unknown”. Solo spingendosi oltre si possono superare i limiti,infatti, ci dice la donna: “Somehow, I didn’t fall”. È sempre il continente africano a ricordarcelo, con Aziza, giovane maratoneta marocchina, presentata mentre, correndo da sola nell’afa del deserto, comunica con il suo esempio che tutto è possibile.

Ona short film festival

Insomma lo sport e la sfida al proprio corpo e alla natura diventano in qualche modo anche una sfida sociale che queste donne, atlete e registe/protagoniste, portano avanti ogni giorno. Non si può che imparare.

Bianca Montanaro