Si chiama Sbarazzo, come in Liguria quando alla fine della stagione i negozi tirano fuori il non venduto e lo mettono in ceste per strada – o all’interno dei negozi – e lo svendono.

Solo che non si svolge in un negozio ma in una casa. E i capi non vengono svenduto ma regalati. Lo fanno, da anni, due donne milanesi, Paola e Monica, coppia nella vita, a casa loro, in zona Porta Venezia a Milano, e due volte all’anno. Chiamano amiche, e amiche di amiche. Si arriva alle 20, si porta qualcosa da bere o da mangiare, si cena. Poi alle 21, allo scoccare del countdown, ci si riversa nelle stanze dove gli abiti sono già stati suddivisi: vestiti, magliette, pantaloni, accessori. Le scarpe in corridoio.

È l’economia circolare, bellezza. Quella che vuole che niente vada buttato e tutto riutilizzato. In fondo, quello che a me non piace più può essere un tesoro prezioso per un’altra, a patto che abbia la mia taglia.

È un po’ tutto un rubarsi i capi, perché chi prima arriva riesce a trovare il pezzo più bello. Ci si smutanda allegramente nelle stanze, di fianco ai letti che ospitano i capi, si riempiono borse e sacchetti. Chi prende per sé, chi prende per la figlia, chi prende per la badante. Chi prende tanto per prendere, pensando che male che vada riporterà al prossimo sbarazzo.

Alla fine rimane abbastanza sui letti (ma, mi assicura una fedelissima, “a volte non rimane quasi niente”). E qui entra in ballo la parte interessante dello sbarazzo. Quello che non viene prelevato dalle presenti, tutte signore milanesi che non dico siano “sciure” ma comunque nemmeno bisognose del vestito in più, viene portato dalle due padrone di casa a Sestri Levante a un’organizzazione benefica che regala a chi ne ha bisogno.

Una formula comunque interessante e che si potrebbe replicare in molti modi.

Facessi lo sbarazzo a casa mia cambierei alcuni piccoli particolari: insisterei fino allo sfinimento per avere solo capi puliti, stirati e in ordine e li metterei appesi su uno stand, in modo da presentarli meglio. Limiterei l’accesso allo sbarazzo a un gruppo ristretto di persone, una decina direi, in modo da evitare gli affollamenti. E, comunque, spererei di avere abbastanza avanzi da poter regalare alle non-sciure più bisognose. Quello che a me non va più, per loro potrebbe essere fondamentale.