Farfalle sullo stomaco‘ è la storia di una bambina, poi ragazza, poi donna che soffre di bulimia. Da cosa ti è venuta l’idea?

L’editore mi aveva chiesto di scrivere una storia sul cibo, in termini di ricette, di piacere, di amore. A un certo punto del lavoro mi ha preso un attacco di anarchia, come mi succede molto spesso, e mi son detta: un momento, il cibo non è solo amore, purtroppo è anche dolore, persino morte. Allora ho buttato via il manoscritto precedente e mi sono buttata a capofitto su ‘Farfalle sullo stomaco’. Con l’idea di scrivere un piccolo libro che potesse aiutare e far sentire meno solo chi soffre di disturbi del comportamento alimentare. Il tutto, però, senza dogmi o toni saccenti, ma con la più grande semplicità e con tutto il cuore. Con un approccio leggero come una farfalla, pur raccontando emozioni ingombranti come elefanti.

Qual è il tuo rapporto con il cibo?

Sono golosissima e orgogliosa di esserlo, ma sono stata, da adolescente, bulimica, e questa è una cosa che segna. Quindi, come in ogni rapporto di amore, anche il cibo mi dà emozioni contrastanti. Ma per fortuna la mia autoironia mi salva sempre, e ho imparato a riderci su. E le risate, all’amore, che sia per il cibo o per una persona, fanno molto bene.

La storia saltella avanti e indietro nel tempo. Perchè?

Perché è una storia di emozioni, e le emozioni seguono un percorso tutto loro, un flusso di coscienza senza ordine prestabilito.

Dal tuo libro sembra che i genitori abbiano una parte importante nella bulimia della ragazza. Credi che il ruolo dei genitori possa essere decisivo nell’insorgere del problema? O nel risolverlo?

Secondo me, risolverlo, non si risolve mai. Si impara a gestire la bulimia, senz’altro, a fare pace con questo aspetto di se stesse, e si può vivere bene. Anche benissimo. Ma non esiste una cura che sbaragli il problema, per il semplice motivo che non “si ha” la bulimia, ma “si è” bulimiche. E’ un tratto caratteriale, una disposizione d’animo, spesso legata a una eccessiva sensibilità. I genitori o gli adulti di riferimento possono aiutare senz’altro, ma il vero aiuto, secondo me, deve venire da se stessi. Anche perché, tra l’altro, una personalità bulimica difficilmente chiede aiuto.

Tu hai una mamma piuttosto ‘impegnativa’ ma simpaticissima che chiami Crudelia. Qual è il tuo rapporto con lei?

Ehhhh, la mia Crudelia è una persona tutta da scoprire. Infatti sto cominciando a scoprirla ora, dopo quasi cinquant’anni passati a contestarla. E lei sta scoprendo me. E’ una fase molto emozionante della mia vita, da questo punto di vista. Siamo diversissime, ma stiamo imparando entrambe a rispettarci, ad amarci, e soprattutto a sorridere delle nostre differenze. Una conquista grandissima, e bellissima, per tutte e due.

FarfalleSulloStomaco

Cosa faresti se avessi una figlia bulimica?

Cercherei di non starle addosso con controlli o prediche o ansie, ma le farei trovare, come per caso, o il mio libro (ho ricevuto un’infinità di mail da persone bulimiche che mi hanno ringraziato per averle aiutate a sentirsi capite profondamente: quando si scopre che si è in molti ad avere gli stessi problemi, spesso i problemi diventano più piccoli). E poi le farei anche trovare, sempre per caso, l’indirizzo di una buona psicoterapeuta che possa darle una mano. Roberta Bidone dell’associazione contro i disturbi del comportamento alimentare Nutrimente, o Lara Franzoni, per esempio, che hanno scritto la prefazione di Farfalle sullo stomaco. E un’altra cosa che le farei trovare per caso (a questo punto si insospettirebbe un po’, però, per questo eccesso di casualità) sarebbe l’indirizzo di un corso di danza. Ma di una divertente, tipo danza del ventre per esempio, o flamenco scalzo, o danze gitane, dove iniziare a guardare il proprio corpo con altri occhi. Cominciando a pensare che potrebbe essere un complice, un compagno di giochi, e non più un nemico.

Parlaci delle tue lezioni di danza… In che modo danza e scrittura si integrano?

Ogni martedì sera io insegno Scrittura Creativa in un corso che si chiama Parole Danzanti, alla scuola di danza Metiss’Art di Milano. La mia idea è di applicare alcune tecniche della danza alla scrittura, perché gli allievi imparino appunto a far danzare le loro parole con il ritmo giusto e i volteggi più emozionanti, portandole anche, a volte, a danzare fuori dal palco, in libertà, con creatività, con un pizzico di anarchia. Con divertimento. Lo stesso principio che guida le lezioni di danza che si tengono in questa scuola, dove io ho imparato a mia volta, come allieva però, a rapportarmi con il mio corpo in modo più libero, più creativo, più consapevole e, come dire, più farfalloso. Dialogare piacevolmente con il proprio corpo, giocare con lui, è un modo diretto, e non mediato da altri, di fare pace con lui. Ed è un modo che funziona spesso molto bene.