Gioca con oggetti appartenenti al mondo femminile, Mona Hatoum. Ma li usa per sottinderere qualcosa d’altro. La grattugia vittoriana che cresce cresce fino a diventare un paravento, capace di dividere e confinare, è una metafora della vita domestica nella quale, spesso, la donna è rinchiusa.
La bellissima retrospettiva, intitolata semplicemente Mona Hatoum, è visitabile alla Tate Modern, fino al 21 agosto. Permette di fare la conoscenza con un’artista nata nel 1952 a Beirut da famiglia palestinese e trasferitasi in Inghilterra nel ’75. Un’artista a cui la Palestina è rimasta nel cuore: non a caso torna in molte sue opere, Keffieh, in cui una kefia, tradizionalmente maschile, viene intessuta con capelli di donna, oppure in Present Tense, in cui una mappa della Palestina disegnata dagli accordi di pace di Oslo nel 1993 viene riprodotta su un mosaico di saponette all’olio di Nablus.
Homebound è forse il lavoro più potente tra quelli in mostra: una stanza che potrebbe sembrare un cucina povera in un appartamento povero, tanti oggetti di uso comune, il colapasta, le pentole, un letto, delle sedie, tutti collegati tra loro da fili elettrici che fanno accendere e spegnere delle lampadine. Li si osserva da una grata di ferro che tiene distanti e immediatamente si percepisce la distanza, il confinamento: se ti avvicini e cerchi di entrare in quel mondo la scossa può essere letale.