Se c’è un modo in cui una del Nord, come me, possa capire il significato della parola “devozione” è andare al Sud, in Sicilia, a Trapani, durante i Misteri, manifestazione antichissima di origine spagnola, che si ripete ogni venerdì santo per 24 ore da più di 400 anni.

Che fosse una bella occasione per vedere qualcosa di diverso l’avevo intuito, ma mai mi sarei aspettata una tale partecipazione da parte della città.

I Misteri di Trapani sono il momento più emozionante e sentito dell’intero anno, da parte dei trapanesi ma anche dei tanti siciliani che vengono per assistere da altre parti dell’isola. Eppure non sono una processione qualunque. Sono dolore, fatica, spalle che fanno male, gambe che  non reggono, mancanza di sonno. Nonostante questo, e dopo aver parlato a lungo con tanta gente, ho capito che se li vivi da vicino e hai molta fede, non puoi farne a meno.

Il Venerdì Santo, alle 14 circa, dalla chiesa dei Misteri escono 18 carri più due simulacri, antichi di secoli e fatti di legno, colla e tela. Pesano almeno 400 chili, ma alcuni raggiungono la tonnellata. Vengono portati a spalla dai massari attraverso le strade della città per almeno 24 ore – quindi tutta la notte – accompagnati da processioni e bande (ogni carro, o ceto, ha la sua banda e la sua processione, composta da uomini, donne, anziani e bambini, che ti chiedi come facciano a restare svegli senza dare segni di stanchezza. I carri si muovono ondeggiando e con una lentezza ipnotica. Si fa in tempo a seguirli, parlare con i massari che ogni tanto devono appoggiare il carro a terra, cercare qualche devoto e chiedergli cosa lo spinge a passare una notte insonne per seguire la processione.

A un certo punto ho trovato due donne scalze. Avevano fatto voto di seguire i Misteri senza scarpe per il resto della loro vita per una grazia ricevuta.

Una devota segue la processione a piedi scalzi per aver fatto un voto alla Madonna.

Avrebbero passato la notte dietro l’ultimo carro, quello della Vergine, che tanti anni prima aveva concesso una grazia.

Dietro una processione così ampia e complessa c’è una macchina organizzativa che si mette in moto non appena l’ultimo carro torna nella chiesa e il portone si chiude. “Aspettiamo questo momento per tutto l’anno”, mi ha detto un ragazzo poco prima di caricarsi il suo peso sulle spalle.

Un massaro trasporta il ceto