Le blue plaques sono quelli bolli blu che si vedono ogni tanto sulle facciate delle case d’Inghilterra. Dicono “qui è nato” o “qui è vissuto” e segue il nome della persona più o meno famosa. Sono un progetto di English Heritage e segue un processo di nomine pubbliche. In pratica chiunque può proporre un nome, purché risponda a determinati criteri (per esempio la persona nominata deve essere passata a migliori vita da almeno 20 anni).
Solo a Londra ce ne sono 990. Anche se l’ultima svelata è stata apposta sulla casa di Sophia Duleep Singh, principessa indiana esiliata, figlioccia della Regina Vittoria e suffragetta (cosa che ha fatto arrabbiare moltissimo la famiglia reale) le blue plaque riservate alle donne sono solo il 15% del totale. Tra 300 anni, forse, si potrà raggiungere una parità. E lo dicono all’English Heritage, non lo dico io.
Pochine. Come del resto sono poche le donne artiste presenti all’interno della National Gallery (e il direttore anglo-italiano Gabriele Finaldi ha cercato di correre ai ripari acquistano un’opera di Artemisia Gentileschi poco dopo essersi insediato).
“Peccato”, ha commentato Helen Pankhurst, pronipote di Emmeline, la suffragetta più famosa (e che si studia a scuola). “In questo modo non facciamo vedere alle giovani generazioni molte personalità interessanti. E dovremmo farlo. Fanno parte della nostra storia”.
Mi fa piacere che Helen la pensi così. Cioè come me. Con i miei progetti di scrittura porto avanti la storia delle donne da tempo immemorabile. Tra un po’ mi meriterò anche io la mia blue plaque. Vi passerò l’indirizzo di casa mia, in caso.