La Saatchi Gallery di Londra è una delle mie gallerie preferite: bellissimo l’edificio, bellissima la location, interessanti e diverse le mostre. Questo per dire che quando ho visto che avevano appena allestito ‘Champagne Life’, dedicata completamente ad artiste donne, mi sono precipitata piena di aspettativa.
Invece. A cominciare dal titolo c’è qualcosa che non va. Perché Champagne Life? Le donne artiste vivono una vita tutta bollicine? Passano da una festa all’altra? Non credo proprio. E quindi? Quindi lo sponsor è Pommery, e questo spiega il nome (prima delusione).
Poi la scelta delle artiste, 14, nessuna delle quali a me nota prima (anche se questo non vuol dire granchè, non sono poi questa grande esperta).
Girellando per le sale mi ha colpito il fatto che quando sono le donne a ‘fare arte’ spesso si ricade negli stereotipi femminili. Le padelle, il cucito, lo stiro, le faccende di casa. Come se le artiste non fossero capaci di parlare di altro che di cose domestiche.
Cosí ha fatto Maha Malluh, artista dell’Arabia Saudita, che ha appeso a una parete 233 pentole di alluminio sporche di fuliggine e consunte dall’uso. Una installazione di sicuro impatto, soprattutto se si pensa, come ha fatto la giornalista dell’Observer Rachel Cooke, in quelle pentole sono stati cucinati qualcosa come 425.225 pasti (calcolando che ogni pentola ha nutrito una famiglia di 5 persone per un anno).
Se non sono pentole sono rocchetti. Come quelli, giganteschi, di Alice Anderson, fatti di fili di rame.
L’artista forse più impattante è la serba Jelena Bulajic, che dipinge (usando matita, marmo, gesso, pietra polverizzata, granito) volti di donne vecchie o addirittura vecchissime, alle quali niente è risparmiato, nessuna ruga, nessuma macchia. Come a dire, altro che Champagne, questo è quello che ci aspetta. Passiamo la vita a cucinare e cucire, e poi diventiamo ragnatele.