Da ex-veneziana with benefits (nel senso che avendo vissuto a Venezia per 10 anni ho ancora una certa facilità di movimento in città) sono andata alla vernice della Biennale, all’inizio di maggio. È un bel momento per visitare tutte le mostre, la città si riempie di artisti e curatori che prendono il posto dei turisti e ci sono opening e piccoli e grandi eventi in ogni angolo.

Ma è anche un momento di grande frenesia e affollamento, che finisce subito dopo l’apertura ufficiale. I mesi estivi, invece, sono perfetti per visitare tutto quello che c’è da vedere. Se il caldo non è eccessivo si può girare per i padiglioni per niente affollati, passeggiare ai Giardini, nascondersi nelle sale buie e fresche dell’Arsenale.

Ho preparato, quindi, un piccolo tour ‘di assaggio’ della Biennale al femminile: sono tante le donne artiste e vale la pena andare a scoprire le loro opere.

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Una barca misteriosa circondata da chiavi. È il padiglione giapponese, opera dell’artista Chiharu Shiota.

Il padiglione del Giappone è forse il mio preferito e ho sperato vincesse il primo premio (andato invece al padiglione Armeno). L’artista è Chihary Shiota che ha scelto di riempire lo spazio di chiavi appese a fili rossi intrecciati. Le chiavi, per Shiota, sono importanti: proteggono spazi, oggetti e memorie. Incitano ad aprire e scoprire mondi nuovi. Chihary ha raccolto chiavi donate da tantissime persone (50.000 per la precisione) e le ha inanellate insieme usando fili rossi che formano una ragnatela che due barche dall’aspetto antico cercano di attraversare.

Sarah Lucas è l’artista del padiglione della Gran Bretagna. Lucas è un’artista irriverente e dissacrante, che ha disseminato il padiglione (dipinto di giallo-maionese) di sculture indubitabilmente falliche e calchi dei sederi di amiche e amici con una sigaretta infilata nelle parti intime. Non esattamente per tutti i gusti, Lucas è tuttavia considerata una artista fondamentale nell’arte contemporanea British.

Scultute inequivocabili nel padiglione GB della Biennale. Ma Sarah Lucas cosa aveva in mente?

Scultute inequivocabili nel padiglione GB della Biennale. Ma Sarah Lucas cosa aveva in mente?

Il padiglione della Grecia (Giardini) è affidato a Maria Papadimitriou che ha ricreato al suo interno un negozio di quelli che non si trovano quasi più, forse nemmeno nella Grecia rurale, un negozio di tassidermia. Vecchi stampe alle pareti, pelli e interiora di animali appese, qualche animale impagliato, un’aria di altri tempi. Il negozio esiste davvero e l’artista l’ha scovato a Volos.

L’Australia (Giardini) dedica tutto il suo padiglione a Fiona Hall che accatasta oggetti disparati come una collezionista folle. Il padiglione australiano è uno dei più visitati perchè completamente ricostruito proprio per questa Biennale. Io sono rimasta affascinata dalla collezione di oggetti, foto, fiori, radici, foglie, orologi a cucù fatti di elementi della natura australe, insomma un angolo delle meraviglie, un curiosity shop che non può non colpire.

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Una installazione di Fiona Hall al padiglione dell’Australia

Il padiglione del Cile (Arsenale) è dedicato alla ‘Poetica della dissidenza’ da parte di due artiste, Paz Erràzuris e Lotty Rosenfeld, che ripensano al Cile della dittatura.

Il padiglione del Chile alla Biennale 2015

Il padiglione del Chile alla Biennale 2015

L’artista Irina Nakhova, all’interno del padiglione della Russia (Giardini) sceglie di mettere una inquietante gigantesca maschera (apparentemente) antigas, che sembra abitata da una creatura cieca e sorda, se non fosse che improvvisamente i suoi occhi si aprono e ti guardano in modo inquietante.  i cui occhi ti seguono ovunque mentre ti muovi. Irina Nakhova, 60 anni, è la prima artista donna a rappresentare la Russia a una Biennale.

La maschera di Irina Nakhova al Padiglione della Russia

La maschera di Irina Nakhova al Padiglione della Russia

Lina Selander rappresenta la Svezia (Giardini), con un’opera dal titolo ‘Excavation of the image’, legata al mondo del cinema mentre Pamela Rosenkranz, per il padiglione della Svizzera, riempie una vasca intera (ed enorme) di un liquido rosa che ricrea il colore della pelle di un normotipo europeo del nord in pratica il colore della nostra pelle se proprio non abbiamo origini siciliane e napoletane. Questo ‘rosa perfetto’ era usato nel Rinascimento per riprodurre gli incarnati delle Madonne e viene tuttora usato in pubblicità perchè è un colore che attrae l’attenzione, è l’incarnato perfetto.
Solo che Rosencranz lo avvicina al verde, che guarda caso era usato, sempre nel Rinascimento, se si voleva ricreare un tono di pelle ‘diverso’. In tutto il padiglione, inoltre, si sente un ‘odore di bambino’, artificialmente ricreato. Un modo ingegnoso per riflettere sul diverso, lo straniero, l’immigrato, l’altro.

Una vasca che riproduce il colore della pelle del perfetto europeo del Nord.

Una vasca che riproduce il colore della pelle del perfetto europeo del Nord.

Infine una delle mie artiste preferite, anche se in questa Biennale è presente solo al padiglione Swatch (che è cosí spudoratamente commerciale da meritare di essere saltato a piè pari, non fosse che dentro ci sono le opere della ‘nostra’). Sto parlando di Joana Vasconcelos, artista portoghese (anche se è nata a Parigi) che ha preso le arti femminili più tipiche, quelle per cui noi donne siamo spesso sminuite (mai sentita l’espressione ‘Vai a fare la calzetta’?) e le ha trasformate in arte. Joana va a fare la calzetta, in effetti (fa la maglia, l’uncinetto, il cucito), ha istituito un laboratorio di maestranze e riempie con il suo lavoro (e quello della squa squadra) intere, immense stanze, come ha fatto qualche anno fa proprio a Venezia con la sua installazione a Palazzo Grassi.

Joana Vasconcelos
Durante la precedente Biennale Joana ha riempito un intero vaporetto ancorato davanti ai Giardini (diventato il Padiglione del Portogallo) di blurb di stoffa bianca, blu, azzurra.
E a Versailles ha avuto l’onore di una mostra a lei dedicata in cui gli elementi caratterizzanti erano quelli a cui noi donne siamo a volte relegate: il ferro da stiro, la pentola, la teiera. Trasformati però in modo tale da renderli opere d’arte meravigliose.

Joana Vasconcelos, teiera, versaiiles

La teiera di Joana Vasconcelos a Versailles