Se c’è una Biennale che devi visitare è quella di quest’anno, curata da Cecilia Alemani. “Il Latte dei Sogni”, il titolo che le ha dato, tratto da un libro dell’artista surrealista Leonora Carrington, inneggia alla trasformazione, al cambiamento, all’evolversi. In realtà, qui si parla di donne. Su 213 artisti scelti tra 58 Paesi, solo 21 sono maschi e 180 non avevano mai partecipato prima a una Biennale.

Non so se questo è il motivo, ma questa Biennale mi è piaciuta moltissimo.

Il Latte dei Sogni

L’arte al femminile è un’arte meno concettuale e più “manuale”. Ci sono tante opere disegnate, dipinte, ricamate, opere di tela e tessuto, con l’aggiunta di perline, lustrini, pezzi di pelle e pelliccia, filo, lana. Quelli “in the know” la chiamano, a volte, textile art, e a me piace da impazzire. Parla di donne che fanno, lavorano intorno a un concetto, ma lo fanno con le mani. E molte opere parlano di corpi: bocche, pance, seni, uteri. Quello di cui siamo fatte e che ci portiamo dietro, a volte scudo, a volte arma.

Una statua in bronzo di Simone Leigh all'esterno del padiglione Usa.

E storie, tante storie non sempre lievi ma sempre interessanti da raccontare. Ci sono utensili, pentole, scatole che contengono e proteggono, c’è tutto l’universo femminile in questa Biennale pensata e curata da una donna. Ci sono artiste di Paesi lontani che hanno dovuto lasciarli e reinventarsi (è stato notato che quasi nessuna vive nel luogo in cui è nata). Ci sono gli addii e il ritrovarsi, il sogno (molto sogno) e il lavoro quotidiano. Una Biennale bellissima che non va persa per nessun motivo.