Cinema e arrampicata, due passioni per sfidare il maschilismo
Kopal Goyal nasce a Ballia (Bihar) e quando non gira con la telecamera in spalla vive a Pune, nel Maharashtra. A ventotto anni conta già una serie di documentari: “Project Wild Women” e “The Basalts Queen”, il suo lungometraggio attualmente in produzione, che segue “A Dream Climb“.Viene da un piccolo villaggio in cui combattere contro stereotipi che vogliono che una donna non si cimenti con la regia è ancora molto difficile: “They make you believe your life is not yours”. Ti fanno credere che la tua vita non ti appartiene.
Le aspettative di parenti e amici erano che mettesse su famiglia per poi dedicarsi a un lavoro “normale” se non esclusivamente alla casa, a discrezione anche del volere del marito. Ma è difficile imporre qualcosa a Kopal, che da una videochiamata un po’ sgranata e a più di 6000 km di distanza afferma senza darsi importanza “Ho sempre voluto creare la mia identità e fare qualcosa di diverso”. Questo “qualcosa di diverso“ non è stato un compromesso o una scelta comoda, tutt’altro. Dopo una laurea in Mass Communication, Advertising and Journalism e dopo essersi specializzata in reportage e aver lavorato come montatrice per un canale di news in India, la sua passione già ribelle per la cinepresa ne incontra un’altra, ancora più radicale, ancora poco conosciuta in India e ancora legata al mondo maschile: l’arrampicata. Afferma: “Arrampicarmi era il mio destino”. Incomincia a scalare cinque anni fa e la sua rabbia anti-patriarcale trova nella montagna un terreno di battaglia; sono infatti le donne scalatrici a interessarla, 12 ragazze che nel suo ultimo film, attualmente in produzione, insegue tra pendii vertiginosi e affascinanti, per portare al pubblico, indiano e non, esempi concreti della possibilità di scegliere e di inseguire i propri sogni anche quando questi sono vette apparentemente irraggiungibili, in senso non solo metaforico. Parimenti le interessa promuovere uno sport in cui ancora si investe poco, in un’India ancora molto legata al cricket e al football. Testimoniando l’esperienza di queste giovani protagoniste alle prese con il rock-climbing, Kopal cerca di promuovere un rapporto etico con la montagna: non basta amarla, bisogna proteggerla con tecniche adeguate e sicure, sia per la roccia che per l’uomo. La sua battaglia per una società equa va infatti in parallelo con quella per un rapporto equo tra società e natura: una natura tanto più stimolante quanto più vissuta all’estremo e che ti può portare a scoprire che non devi necessariamente aderire a obbligazioni socio-culturali ma che “puoi scrivere tu stessa le tue regole”.
Già nel suo ultimo progetto documentaristico, infatti, la giovane regista scalatrice aveva lasciato che a parlare fossero ancora 12 donne indiane: Gowri, Sunita, Aneesha, Antima, Prerna, Ishani, Zhen, Basica, Anam, Rinzing, Anissa e Anita. Queste le protagoniste del suo primo cortometraggio “Project Wild Women” (2018), raccontate in soli ventidue minuti nel loro uscire di casa, sporcarsi, farsi male e rialzarsi, per diventare ogni giorno “una me stessa più forte”. Rock climbing, longboarding, skateboarding, rafting, freeride mountain biking, highline, surfing e ice climbing, sono solo la forma più plateale del coraggio di queste donne che non affrontano solo gli ostacoli dello sport estremo, faticoso e in India ancora prettamente maschile (si pretende poco dal sesso femminile, l’asticella è ancora troppo bassa e lo stupore quando una donna ottiene risultati significativi è davvero offensivo), ma soprattutto devono affrontare gli ostacoli ancora più subdoli di una società che impone regole di genere. Dall’immagine richiesta per il loro corpo, che sia nei confronti di un abbigliamento che non deve essere “mascolino” o di una fisicità che se troppo muscolosa potrebbe mettere a repentaglio la possibilità di matrimonio, al loro comportamento che si prevede si adegui alla regola non scritta per cui ci si sposa preferibilmente non oltre i venticinque anni e quelle che rifiutano questo ruolo sono “difettose”.
La pressione è tale che manca lo spazio mentale perché molte giovani possano pianificare una carriera e un futuro e capire che cosa vogliono essere e mancano modelli femminili, quelli che Kopal cerca di fornire. “Meglio incoraggiare una ragazza e scoprire le proprie capacità, piuttosto che chiederle di essere bella”: lo sport estremo può essere una delle tante vie. Così come lei ha preso una telecamera in mano per andare alla ricerca di altre che come lei hanno scelto “il sentiero sconosciuto”, spera di stimolare donne di qualsiasi età a fare altrettanto. Chiedendole che cosa vuole dire alle lettrici e al suo pubblico risponde: “Abbi fiducia in quello che sei e in chi vuoi diventare”.
Il nome della sua casa di produzione parla da solo: “Inspiring Crew”. Non resta che attendere il prossimo film e lasciarci di nuovo ispirare a essere una versione sempre migliore, più forte e non etichettabile di noi stesse.
Bianca Montanaro