Dopo l’interessante operazione documentaristica di The Galapagos Affair: Satan Came to Eden (2013), che ha coinvolto le voci di star di fama internazionale, i registi Dayna Goldfine e Dan Geller tornano alla carica con Hallelujah: Leonard Cohen, A Journey, A Song.

E così regalano alla 78esima edizione della Biennale di cinema di Venezia un film Fuori Concorso che è goduria allo stato puro per ogni fan del cantautore. Un documentario che ricostruisce tramite interviste, materiali d’archivio, spezzoni video, ma soprattutto tramite le note, la genesi di uno degli artisti più straordinari degli ultimi cent’anni e da questa più nello specifico la genesi di una delle canzoni più vibranti, sacre, profane e onnipotenti che siano mai state prodotte dalle mani, dal cuore e dal cervello di una persona: Hallelujah.

Forse anche la più riprodotta, tanto che è difficile non sentirla a contest, live show e concerti più disparati. I registi non solo seguono il filone della scena musicale del periodo, del percorso travagliato del pezzo, dei suoi rifiuti prima del successo,  delle testimonianze di artisti per cui ancora oggi questa canzone rappresenta un punto di riferimento, ma vanno oltre, donando al film un respiro più ampio. Svelano il simbolismo che si nasconde nella poesia di Cohen, il suo utilizzo del linguaggio in modo sacramentale che in qualche modo svela i misteri della vita, la sua considerazione delle donne quasi come uno strumento biblico di conoscenza per giungere alla canzone summa della sua opera che “ha preso la parola religiosa e l’ha tirata giù dal cielo”, esprimendo gli aspetti più profondi dell’essere umano, spirituali o carnali che siano. E con le ultime parole di Cohen il film si conclude, tra le lacrime di estasi e malinconia di un pubblico di ogni età, perché immortale sarà la sua parola e si tramanderà di generazione in generazione: “siamo circondati da un mondo così imprevedibile che non puoi fare altro che alzare i pugni o dire Hallelujah. Io cerco di fare entrambi”.

Ascolta la canzone qui.