“Gigolo per caso” di John Turturro è il film che questo caratterista italo-americano, simpaticamente orgoglioso delle proprie origini, ha dedicato al mestiere più antico del mondo, stavolta declinato al maschile, avendo Woody Allen come abile ruffiano.

Appare subito difficile liberarsi dell’idea che con quella faccia da operaio pugliese, il fisico standard e non più giovane come lui stesso afferma nel film, nessun interesse tranne i fiori, la quasi assenza di conversazione e pure di  frequentazioni oltre l’amico bibliotecario, magnaccia per l’occasione,  sarebbe stato impossibile diventare un soggetto disputato e conteso da signore ricche e vedove povere, se non in una pellicola scritta e diretta da lui stesso.

Il film è rarefatto ed esile, una commedia agrodolce che scivola  tranquilla, in cui il protagonista mai si spoglia (le sue doti sono narrate in misteriose telefonate fra amiche ricche e per nulla competitive, ulteriore immagine di solidarietà al femminile), balla un improvvisato tango per incoraggiare una neofita nervosa.

gigolo-per-caso-vanessa-paradis-in-una-scena-2

Eppure rimane da vedere, anzitutto per la presenza straripante e salvifica di Allen che certo ha scritto (o ispirato fortemente), la sceneggiatura e il proprio ruolo, con cui ha qui un’identificazione iperrealista, poiché è un ebreo, non certo osservante, anzi spassosissimo oggetto di un’inquisizione rabbinica, è sposato con una straniera di colore con quattro figli, è fissato col sesso. Soprattutto, ha una sua – esilarante – teoria su tutto: su cosa vogliono le donne, se i maschi sono meglio vestiti o nudi, sui precetti ebraici ortodossi per la vedovanza, su come si dividono le mance, su come comporre una squadra di baseball di adolescenti neri e di discendenti del “popolo eletto” al Central Park. Allen rifà se stesso e il suo chiacchiericcio di sempre, ma qui, davvero vecchio sotto la macchina da presa è nello stato di grazia dei suoi film d’esordio.

Molto bella, convenzionale ma un vero plaisir dex yeux , è la fotografia (italiana, di Marco Pontecorvo; italiano anche il  montaggio di Simona Paggi)  virata sui colori dell’autunno di una New York che è  spettacolare quando appare fra le vetrate dei grattacieli dove abitano le ricche signore, e crepuscolare nella South Williamsburg, l’angolo di  Brooklyn in cui si trova una delle più grandi comunità di ebrei chassidici nel mondo.

Il film rimane impresso soprattutto per le parti in cui è  descritta l’amicizia  tra i due protagonisti, di cui in fondo racconta la storia, e gli stati d’animo delle donne, spesso incerte,  di sé, dei comportamenti da tenere, della propria solitudine, del proprio posto nel mondo. E appare così  verosimile il successo di un personaggio silenzioso, garbato e gentile, in grado di rimanere in silenzio davanti al mistero della mente femminile: “Se sapessi cosa c’è nella vostra mente non mi troverei qui” , dice a un certo punto, facendo sorridere le sue clienti.