Dove un tempo sorgeva una città, Gibellina vecchia, nel Trapanese, adesso si trovano 80 mila metri quadrati di cemento. Non c’entrano i palazzinari, ma un artista, Alberto Burri. Gibellina vecchia venne rasa al suolo il 15 gennaio del 1968, provocando 1150 vittime e 98 mila senzatetto. Non restava praticamente niente, se non un cumulo di detriti.
Ludovico Corrao, allora sindaco, chiamò artisti e architetti a dare un’opera per Gibellina Nuova, costruita a otto chilometri di distanza. Molti lo fecero. Non Alberto Burri, che decise invece di fare un’opera di land art. Compattò le macerie e le coprì con cemento bianco, regalato da Italcementi, seguendo la conformazione del paese, case, strade, tutto. Il Cretto di Burri è questo, un paese bianchissimo di cemento che ricalca un paese che non c’è più. È lì, in mezzo alla campagna, aperto e tutti, senza guardiani, senza cancelli, senza filo spinato, senza biglietti di ingresso. Un sudario che copre quella che un tempo era una città.
Pochissima gente la visita e non è nemmeno facilissima da trovare. Ma una cosa mi ha colpito: in un paese in cui si scrive con il temperino su opere d’arte e monumenti, il biancore di Gibellina non è stato toccato nemmeno da una matita.