‘Un giorno mi sono guardata allo specchio e ho visto una ruga’, racconta Michela Occhipinti, regista di Il Corpo della Sposa, presentato in anteprima UK durante il Cinema Made in Italy di Londra. ‘Mi sono accorta che mi scocciava invecchiare, ma proprio dal punto di vista estetico. Pensavo di essere più libera, di essere oltre questo genere di preoccupazioni. E invece mi sono trovata a pensare al tempo che passava, al mio corpo che invecchiava. Da lì è arrivata la riflessione su quante pressioni le donne siano costrette a subire per adattare il loro corpo a canoni scelti da qualcun altro. Dobbiamo essere magre, giovani, belle. A tutti i costi. Ci sottoponiamo a delle vere torture per riuscirci, a dei lavori che rasentano la macelleria. Ho quindi pensato di raccontare una storia che parlasse di questo. Avrebbe potuto essere la storia di un’anoressica, di una bulimica, di una che si sottopone alla chirurgia plastica. Ma era tutto già visto. Poi, per caso, ho visto un trafiletto su un giornale che parlava di gavage e mi sono accorta che in fondo era qualcosa di simile a quello che facciamo noi.
Il gavage è l’ingrassamento forzato delle future spose mauritane, che prima del matrimonio devono mettere su 10 o 20 chili per compiacere il marito (scelto dalla famiglia) che le vuole grasse. Una donna in carne è uno status symbol, mostra al mondo che il marito è in grado di nutrirla bene, le permette di stare a casa seduta su strati di adipe e non pensare a niente.
‘Le mauritane prendono pillole per ingrassare a base di cortisone. Noi le prendiamo per dimagrire, a base di anfetamine. Ma dove è la differenza?’, continua Michela Occhipinti.
In Mauritania il gavage è di tradizione, praticato nei centri più piccoli, ma ancora diffuso nelle città. È diventato un canone estetico, tanto che le donne sono tutte in carne, anche quelle che non si sottopongono al force-feeding. La ragazza del film viene costretta a mangiare dieci pasti al giorno e viene pesata ogni settimana da una madre che esulta per ogni chilo in più. Un trattamento uguale in tutto e per tutto a quello a cui vengono sottoposte le anatre da fois gras.
‘Non vedo differenze con la cultura occidentale. La ragazza mauritana del mio film è costretta dalla madre a fare il gavage, mentre noi occidentali ci sottoponiamo liberamente a trattamenti stravolgenti e alla chirurgia. Ma dietro c’è lo stesso una forma di forzatura: tutto intorno a noi ci parla di come dovremmo essere per raggiungere un certo canone di bellezza. Crediamo di piacerci diverse, ma in realtà ci piaciamo se rispecchiamo un canone di bellezza imposto da altri. Quindi anche le nostre scelte non sono libere’.
Il film è un messaggio rivolto alle ragazzine che a 18 anni (o prima) si vogliono rifare qualche parte del corpo, o alle donne che non accettano di invecchiare. ‘Spero che possa far riflettere. Le storie di anoressia o bulimia le ragazze le hanno già viste. Spero che guardando una storia così lontana geograficamente, ma in fondo vicina nei contenuti, le possa far riflettere sulla violenza a cui ci sottoponiamo’.