Non c’è mai stata un’edizione di Frieze cosí piena di artiste. E Frieze, appena conclusa il 7 ottobre a Londra, è una delle piú importanti fiere d’arte al mondo. Quindi mai come quest’anno gli occhi del mondo dell’arte saranno puntati sul lavoro di artiste donne.
In Frieze Sculpture, dedicata appunto alla scultura all’interno di Regent’s Park, il 50% degli artisti presenti è donna. Lubaina Himid (vincitrice del Turner Prize 2017), Charlotte Prodger (nominata per il Turner Prize 2008) e Cathy Wilkes (che rappresenterà La Gran Bretagna alla Biennale di Venezia 2019) hanno avuto una mostra a loro dedicata all’interno della fiera. La Deutsche Bank, dentro Frieze, ha dedicato il suo sempre affollatissimo spazio all’empowerement femminile con opere di Marlene Dumas e Kara Walkers. Frieze stessa ha organizzato Social Work, una collettiva di artiste degli anni ’80 che hanno investigato il ruolo femminile nella società e la possibilità di un cambiamento. E in città, nelle decine di mostre che hanno inaugurato in contemporanea a Frieze, ci sono mostre dedicate alle big dell’arte contemporanea, come Yayoi Kusama da Victoria Miro, Doris Salcedo alla White Cube e Kiki Smith da Timothy Taylor.
Se non fosse un cliché abusato, direi che Frieze si tinge di rosa. Ma non lo dico. Dico invece, che era ora; ma lo dice anche qualcuno di ben più autorevole di me, come il Financial Times, che afferma che era ora, appunto, che il mondo dell’arte si accorgesse che esistono anche le artiste e che valgono tanto quanto gli uomini. Curioso, continua, che siano tutte un po’ agée, dai 70 anni in su. Non sarà – e lo sostiene sempre il Financial Times – che dopo una certa età le donne non sono più considerate sessualmente desiderabili e perciò non sono più vissute come una minaccia?