C’è chi lo ama e chi lo odia. Quasi tutti lo associano al sesso femminile. Il colore rosa è uno dei più discussi, rifiutato dalle femministe che lo considerano zuccheroso, stereotipo di un modo di essere donna che rifiutano, amato dalle bambine che vengono abituate, fin da piccole, che porta con sé romantici desideri, felicità, dolcezza.
Poi c’è chi lo usa come un arma. Scarlett Curtis (nomen omen) è una giornalista e scrittrice inglese con i capelli che fanno fede al suo nome e alla sua missione: essere orgogliosamente femminista e trasmettere questo orgoglio a tutte le donne. Ha scritto un libretto diventato in poco tempo un must: “Feminists don’t wear pink and other lies” (Le femministe non si vestono di rosa e altre bugie).
Nonostante il suo libro sia stato rifiutato all’ultimo momento da Topshop, che aveva inizialmente accettato di ospitarne una presentazione nel suo flagship store in Oxford Circus a Londra, Scarlett ha deciso di portare la sua campagna a favore del women empowerment Herstory a un livello superiore, sotto gli occhi di tutti. Ha unito le forze con il gruppo artistico, che racconta attraverso l’arte la storia di donne dimenticate o meno conosciute, e ha riempito Londra di manifesti in cui una serie di personaggi femminili notevoli del passato e del presente. Se tutti conoscono Elisabetta I e Malala, non altrettanto si può dire di Sojourner Truth, sostenitrice dell’abolizionismo della schiavitù e dei diritti delle donne nell’America del 1700, e Sophia Duleep Singh, figlia di un maharaja e famosa suffragetta nell’Inghilterra del 1800.
“Ci sono oltre 800 statue di personaggi importanti e famosi in Inghilterra, e solo 80 sono dedicati a donne”, ha spiegato Curtis all’Independent. “Invece è importantissimo che le bambine siano abituate fin da piccole a vedere una proiezione di successo di se stesse, anche attraverso modelli da imitare”.
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