L’amore per il cinema e quello per i libri vanno d’accordo. Chiara, 40 anni, genovese che vive a Torino, laureata in cinema, con alle spalle qualche collaborazione con riviste specializzate, una passione per Orson Welles e per il cinema di animazione, negli ultimi anni ha contribuito a fare crescere una piccola libreria di famiglia a Rivoli, con pazienza e amore. Ma da far crescere ora ha due figlie piccole, di due e tre anni, Rivoli è lontana e richiederebbe un lungo spostamento con i mezzi pubblici (“Sono una delle poche che a 40 anni non ha ancora la patente”) e Chiara ha dovuto dire no a un contratto a tempo determinato.
“Forse il destino ha voluto che io dovessi fare altro”, dice sorridendo dal suo terrazzo torinese dal quale si intravedono i tetti della città.
E questo ‘altro’, che Chiara ha usato come conforto e compagnia durante le lunghe giornate di isolamento, è una catena telefonica.
“Ho tanti amici che sento su whatsapp o sui social. Ma al telefono non ci sentiamo mai. Un giorno ero in chat con un amico che diceva di aver bisogno di leggerezza e ho pensato che con una telefonata, ma una vera telefonata, con il numero composto, lo squillo del telefono e tutto, avrei potuto dargliela”.
“Ci ho pensato tutta la notte, perché al momento l’idea di telefonare così dal nulla a qualcuno mi metteva ansia. Allora ho pensato a un questionario, una serie di domande da fare. Domande profonde, non il solito come stai, come va”.
L’idea è quella di abbandonare le nostre certezze. E per quanto strano possa sembrare, comporre un numero e farlo squillare fa parte delle cose che a Chiara mettevano agitazione.
“Sentiamo i familiari o gli amici più stretti, ma la nostra rubrica è piena di numeri di persone incontrate nel passato, e magari mai più viste, delle quali vorremmo avere notizie, alle quali vorremmo fare domande. Ho deciso di telefonare ogni giorno a una persona diversa. E di fare loro le domande che mi sono preparata”.
Per esempio, ‘Quando è stata l’ultima volta che hai riso?’, che è una cosa che spiazza e fa pensare. O ‘la prima cosa che ti farà sentire tornato alla normalità’.
“La felicità è così diversa per le persone ed è bello vedere come ognuno reagisce a questo esperimento. Voglio continuare, anche oltre l’isolamento. Perché ogni telefonata mi dà una scarica di adrenalina. Quando sto per schiacciare il tasto ‘chiama’ sento lo stesso brivido lungo la schiena di quando sto per buttarmi da uno scivolo. E consiglio a tutti di provarci”.
Una telefonata inutile, a una persona a cui tieni ma che non senti mai, può essere l’aiuto che ci vuole per chi la fa e per chi la riceve. “Per me era un tabù e sono contenta di averlo spezzato. E anche per altri a quanto pare lo è, visto che gli amici che ho invitato a provare mi hanno confessato di non averne il coraggio.
Gli amici Chiara li ha scelti tra quelli a cui tiene di più. La lista si è formata da sola. E dopo i primi tre o quattro, ha scelto a caso nella rubrica zeppa di numeri che non vengono mai digitati.
Chiara, che si definisce una chiacchierona, si è costretta ad ascoltare per una volta. “Sto imparando a lasciar parlare gli altri. Io, che sono quella che racconta le storielle agli amici per tirarli su di morale, che trova sempre le parole giuste, per una volta ho usato le orecchie. Parlare di cose che li hanno resi felici ha aiutato loro a sentirsi meglio”.