La grassa, la rossa, la dotta. Quante gliene dicono a Bologna. Senza renderle davvero giustizia.
Non è grassa, anche se i piatti tipici, che ti propongono in continuazione, anche sotto forma di gioielli o di souvenir banali (il tortellino impazza), sono tutto tranne che dietetici. La rossa perché il colore rossastro dei suoi palazzi ti avvolge ovunque (e magari c’entra anche la politica, ma chissà). La dotta perché la sua è l’università più antica e tra le più prestigiose d’Italia.
Vorrei raccontarvela per bene, con tanti particolari e tanti consigli. Ma ci ho passato solo qualche ora, in una estate bollente (e menomale che i suoi famosi portici, che ammontano a ben 40 chilometri e sono patrimonio Unesco, mi davano un po’ di ombra) e ho cercato di vedere molto, ma di sicuro non tutto.
Praticamente camminate ovunque senza bagnarvi se c’è la pioggia e riparandovi dal sole. E questo è un bel vantaggio. Vi ritrovate esposte alle intemperie solo se attraversate qualche piazza. Come quella del Nettuno, dove c’è la statua del Giambologna, o piazza Maggiore, dove c’è la Basilica di San Petronio, il patrono.
Naturalmente ho visto entrambe, e nella basilica sono entrata. Non sono rimasta impressionata, pur essendo questa una delle chiese più grandi d’Italia (e la più grande costruita in mattoni.
Molto più bella, ma bella davvero, la Basilica Santuario di Santo Stefano, che in realtà di chiese ne conta sette.
Ingresso gratuito ma orari bizzarri (le chiese chiudono all’ora di pranzo? Da quando?).
Ma vale assolutamente una visita approfondita.
Il complesso racchiude la “Gerusalemme bolognese”. E se vuoi saperne di più sul legame tra le due città, eccoti un video di tre minuti.
C’è un’altra chiesa, un po’ defilata, di cui ti devo parlare e che per me è stata una scoperta (colpevole, perché non la conoscevo prima). Si trova in pieno centro, in via Clavature, ed è la chiesa di Santa Maria della Vita. La chiesa in sé non è niente di speciale ma conserva al suo interno un complesso semplicemente stupefacente, il Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell’Arca.
Sette statue di terracotta: uno è Cristo disteso, ma tutto intorno ci sono le Marie, la Madonna, San Giovanni e San Giuseppe di Arimatea, con i volti stravolti dal dolore più vero, quello che senti sotto la pelle.
Il Compianto è ben rappresentato in pittura e scultura. Ma di così drammatici non se ne sono visti molti e questo, credimi, vale il viaggio a Bologna.
Curioso come tutti si affollino a vedere cose che valgono molto meno, come le Torri Garisenda e Asinelli, pur graziose (non ce l’ho fatta a fare a piedi i 500 scalini, a causa della temperatura impossibile, anche se da lassù il panorama deve essere pregevole) e poi, magari, tralascino altre cose, come il Compianto.
Da non tralasciare per nessun motivo, invece, il Palazzo dell’Archiginnasio, che contiene la biblioteca (non visitabile) e il Teatro Anatomico.
È il luogo simbolo dell’Università di Bologna (la dotta), che dal 1500 riuniva in un solo luogo le attività dell’Università, prima sparse in varie sedi (e dismesse nel XIX secolo).
E anche se non potete visitare la biblioteca, dovete assolutamente vedere il Teatro Anatomico, dove si tenevano le lezioni (pratiche) di medicina.
Tutta la sala, forma di anfiteatro, è intarsiata, con statue di medici del passato (a cominciare da Ippocrate). In cattedra sedeva il professore, e il suo pulpito è fiancheggiato dalle statue degli “spellati”, che in effetti fanno una certa impressione ma in un Teatro Anatomico, con tanto di tavolo su cui si posizionava il cadavere da sezionare, ci stanno.
Sempre nello stesso complesso c’è l’Aula Magna, chiamata Stabat Mater perché il 18 marzo 1842 vi si tenne la rappresentazione dell’Opera di Rossini.
Affreschi, decorazioni, è una sala meravigliosa.
Uno dei figli famosi di Bologna è il pittore Giorgio Morandi. La sua casa di via Fondazza, dalla cui finestra vedeva un cortiletto con un albero e nella cui stanza sistemava bottiglie e brocche che poi dipingeva, è aperta solo durante il weekend.
Il grosso della sua collezione si trova al Mambo,
A parte le opere di arte contemporanea – grossi o grossissimi nomi ma non tutte le opere sono interessanti – la parte dedicata al Museo Morandi è pregevole. Soprattutto la stanza dedicata ai paesaggi. Morandi usciva pochissimo dalla casa in cui viveva con le sorelle. E quando lasciava Bologna andava a Grizzana, sull’Appennino bolognese. E, come faceva quando guardava fuori dalla sua finestra di casa, dipingeva il paesaggio che vedeva. Niente bottiglie, questa volta, ma alberi e montagne. Paesaggi bellissimi, che da Morandi non ci si aspetta. Per me, la stanza più bella del Museo Morandi.
Aggiungo due piccole cose, ma che in un racconto di una città servono sempre.
Ho mangiato tigelle e salumi al Calice, in via Clavature. E ho fatto shopping da La Gallina Smilza, che vende piatti e oggetti per la casa coloratissimi e creativi.