C’è il Pergamon, il Reichstadt, il Checkpoint Charlie, il muro o quello che resta. Poi, a Berlino, c’è la Feuerle Collection che è tutto fuorché la classica visita a una collezione d’arte.
Prima di tutto la devi trovare. Dai indicazioni al tassista che ti scarica davanti a una porta, al numero 70 di Hallesches Ufer. Non vedi niente di particolare e ti chiedi se sei finita all’indirizzo sbagliato. Ma no, è proprio qui e la porta è quella di un bunker della seconda Guerra mondiale, abbandonato al suo destino per molto tempo e poi acquistato dal signor Désiré Feuerle proprietario della collezione, e restaurato dall’architetto inglese John Pawson.
La collezione mescola opera di arte contemporanea – sculture di Anish Kapoor, foto di Nobuyoshi Araki e di Adam Fuss, le mie preferite – a mobili cinesi di età imperiale e sculture khmer. Tutto bellissimo, per carità. Ma più bello e strano e insolito e soprendente è il modo di presentarle.
Dopo aver lasciato borse e cappotti nei locker si entra in una stanza completamente buia, per abituare gli occhi alla penombra delle due sale esposizione. Si resta nella stanza qualche minuto, immergendosi in un’atmosfera ovattata e ascoltando la musica di John Cage. Poi si può passare alla sala vera e propria, buia tranne che per dei faretti che proiettano la loro luce esattamente sulle opere, poche e intelligenetemente sparse per l’enorme spazio, creando giochi di ombre inaspettati.
C’è il buio, le poche luci, gli specchi: cammini e non sai dove finisce la stanza, se quello che vedi è vero o un riflesso. Guardi dai vetri e ti accorgi che di là c’è una enorme pozza d’acqua, cosí ferma che quasi non ti accorgi che sia acqua e che diventa una ennesima superficie che riflette i muri di cemento armato del bunker.
Non è permesso fare foto, e tutto questo posso solo raccontarlo. Ma la visita alla Feuerle Collection la metto d’onore tra le cose da non perdere.
Si entra a gruppi di massimo 14 persone, dopo aver prenotato il biglietto online e si entra nella stanza della preparazione