Beirut è stata per molto tempo considerata la Parigi del Medioriente. Elegante, raffinata, colta e piena di vita. Poi è arrivata la guerra e Bey (come viene affettuosamente chiamata chi la conosce e la frequenta con una certa assiduità) è sparita dalla cartine geografiche e i viaggiatori di tutto il mondo hanno smesso di visitarla. Io ci sono stata da poco e avrò visto si e no due o tre turisti in tutti i cinque giorni che ci ho passato. In compenso mi sono sentita chiedere molte volte cosa ci andavo a fare. Be’, è stato uno dei viaggi più interessanti che ho fatto ultimamente. E anche uno dei più sorprendenti. Perché raramente ho trovato una tale accoglienza da parte delle persone incontrate per caso. Ti basta conoscerne una per entrare in un turbine di inviti e di conoscenze. Approfittane e leggi la città con gli occhi dei libanesi.

UNO. Beirut è divisa per quartieri: quello più centrale, devastato dalla guerra e poi ricostruito, chiamato Downtown; quello vivace e chic, Achrafieh; quello famoso per la vita notturna inarrestabile, Gemmayzeh; quello frequentato dai giovani hipster, Mar Mikhael; e quello più sunnita, più vario e pieno di negozietti, Hamra. Comincia a familiarizzarti con la loro posizione per capire dove andare. E avventurati e piedi conoscendoli uno per uno.

Mar Mikhael

Una strada del quartiere di Mar Mikhael

DUE. Ovunque tu vada, dovrai andarci in taxi. A Beirut il trasporto pubblico è (quasi) inesistente. I taxi in compenso costano poco, ma non usano il tassametro, quindi chiedi la tariffa prima di salire. Personalmente mi piace passeggiare, e a Beirut lo puoi fare comodamente perché le distanze da coprire non sono enormi.

TRE. Il Museo Nazionale è una delle piccole perle della città. Piccolo abbastanza da visitarlo in un’ora e mezza, con pochissimi visitatori, ti permette di guardare con calma le meraviglie che contiene. Il piano sotterraneo – forse il più affascinante – è stato finanziato dal governo italiano e inaugurato nel 2016. La Ford Collection contiene 31 sarcofagi fenici antropomorfi uno più bello dell’altro.

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I sarcofagi fenici della Ford Collection al National Museum di Beirut

 

 

 

 

QUATTRO. Se hai ancora appetito per un po’ di cultura, prova il bellissimo Sursok Museum. Si trova in un palazzo in stile italiano dei primi del ‘900 e ospita opere d’arte contemporanea libanese. Le opere sono ok e se frequenti i musei internazionali non credo verrai rapita da questi dipinti, ma il palazzo vale sicuramente una visita. Caffè e piccolo shopping (con cose di design molto carine) completano la visita.

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Il Sursock Museum è stata una residenza privata. Ora ospita un museo di arte contemporanea libanese Photo: Daniela de Rosa

CINQUE. Una città devastata da 30 anni di guerra civile non può non portare ancora i segni di un passato doloroso. Beirut le sue cicatrici le porta quasi con orgoglio e anche se il centro è stato accuratamente ricostruito, ci sono ancora, a ricordo del passato, i palazzi crivellati dai colpi di kalashnikov. Uno di questi, il Beit Beirut, è stato trasformato in un bellissimo spazio d’arte.

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Il palazzo Beit Beirut, martoriato dalla guerra, è diventato un centro d’arte. Photo: Daniela de Rosa


SEI
. Downtown Beirut è la zona che più ha sofferto durante la guerra. La Green Line divideva la parte musulmana da quella cristiana e la Guerra degli Hotel si combatteva a colpi di mortaio dai tetti dell’Holiday Inn e dell’Hotel Phoenicia. Tutti e due gli edifici, dolorosamente crivellati di colpi, sono ancora in piedi a memoria della guerra, iniziata nell’aprile 1975.  Alla fine della guerra civile il fotografo italiano Gabriele Basilico realizzò un drammatico servizio fotografico tra gli edifici in rovina. Oggi il quartiere è tutto ricostruito e la moschea di Masjid Al Amin si trova a pochi passi dalla cattedrale ortodossa di Saint George. Un segno di pace.

 

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L’Hotel Holiday Inn da cui si sparava durante la guerra civile. Photo: Daniela de Rosa


SETTE
Le donne sono tutte molto truccate, pettinate, ingioiellate e eleganti anche quando vanno a fare la spesa. Borse griffate e abiti di firma sono la prassi. La sera tacchi vertiginosi. Moltissime denotano una certa familiarità con qualche chirurgo plastico. Le sunnite coprono la testa ma nessuna si copre il volto.


OTTO
.  Dimentica ogni tipo di dieta perché a Beirut si mangia benissimo. Tantissima verdura preparata in mille modi e tanta carne. Non è invece memorabile il pesce. Vai a pranzo da Tawlet, un luogo che non sfigurerebbe nei quartieri cool di Londra, dove un grande buffet preparato da donne di varia etnia (e la cultura influenza il cibo, si sa) ti permette di assaggiare quello che vuoi e pagare un prezzo fisso.

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Le cuoche di Tawlet preparano ogni giorno più di 10 piatti per il loro buffet. Photo: Daniela de Rosa


NOVE
. Prova la cucina armena da Mayrig, che in armeno significa ‘nonna’ e propone la stessa cucina della nonna degli attuali proprietari. Una nonna formidabile tra le pentole perché tutto quello che ho mangiato era semplicemente favoloso. Mayrig si trova (ovviamente) nel quartiere armeno al 282 di Pasteur Street.

DIECI. Procurati una copia di Best of Beirut, una specie di Time Out locale che ti dice cosa succede in città. Lo trovi in distrubuzione gratuita in alcuni ristoranti e alberghi ed è davvero utile.

UNDICI (E LA PIÙ IMPORTANTE). Beirut è una città sicura. Ma ci sono delle NO-GO ZONES nelle quali è assolutamente meglio non mettere piede. Sono i campi profughi palestinesi e siriani, dove la polizia locale non entra, dove vige una legge non scritta che riguarda solo loro, dove si entra solo accompagnati dalle varie ONG. Non ci sono confini precisi né cancelli, ma non è una buona idea avventurarcisi.

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I campi di Sabra e Chatila, a sud di Beirut, sono tristemente famosi per il massacro di civili. Photo: Daniela de Rosa