Ho sempre sostenuto che nei posti bisogna andare e tornare, più volte. Ad Atene ero già stata tre volte e, Partenone a parte, non è che la città mi avesse troppo convinto. Questa volta invece ho rovesciato completamente il mio parere. Sarà che sono passati un po’ di anni, che la crisi è passata, che a fine settembre c’era ancora quel clima estivo che io, su al nord, mi stavo già dimenticando. Fatto sta che mi è piaciuta tanto. Ma tanto di più delle altre tre volte messe insieme.
Forse perché sono stata in un hotel molto centrale ma molto molto carino, con al piano terra un market/ristorante che ricorda molto Eataly, dove compri, mangi e tutto è a km zero e proveniente da produttori certificati. Si chiama Ergon House (23 Mitropoleos Street) e all’ultimo piano ha un rooftop bar chiamato Retiré dove sorseggi un greek negroni guardando l’Acropoli illuminata così vicina che ti sembra di toccarla. Al Retiré vanno all’ora dell’aperitivo (e anche oltre, in Grecia si ama far tardi) giovani ateniesi e qualche turista (pochi, e io ero tra quelli).
Scendi dal decantato rooftop e ti trovi in mezzo a una delle più vivaci e popolari strade della città, a due passi, tra l’altro, dalla piazza Syntagma, quella del parlamento e degli euzoni, le guardie vestite con un gonnellino con 400 pieghe (una per ogni anno di occupazione turca) e le scarpe con i pom-pon.

Qualunque manifestazione abbia luogo in città, parte o termina in piazza Sintagma, davanti al parlamento.
Il Parlamento è maestoso. Ma small is beautiful. E le strade di Atene sono disseminate di piccole chiesette bizantine che sembrano cresciute come funghi dopo una notte di pioggia, schiacciate tra portici e palazzi.
Comunque chi viene ad Atene vuole vedere l’Acropoli. E questa, da sola, vale il viaggio. Ti consiglio di andarci preparata: prenditi una guida, una brava, che ti racconti un po’ cosa è questo posto in cui è nata la moderna forma di democrazia come noi la conosciamo.
E poi, ma non nello stesso giorno, vai al Museo dell’Acropoli, costruito pochissimi anni fa per accogliere tutto il ben di dio che non si sapeva dove mettere. Sarà che ho fatto il classico e il greco l’ho masticato, volente o nolente, per tanti anni, ma il Museo dell’Acropoli è un viaggio del cuore, uno scrigno delle meraviglie. Il secondo e ultimo piano raccoglie i fregi del Partenone disposti come dovrebbero essere intorno al tempio. Tutti, tranne quelli “trafugati” da Lord Elgin e portati a Londra, attualmente al British Museum.

Durante le Feste Ateniesi cittadini di ogni genere andavano in processione dagli dei. I fregi del Partenone, ora al Museo dell’Acropoli, sono puro storytelling, ma con secoli di età.
Se ti gira la testa, se hai le vertigini davanti alle cariatidi, alle statue, ai bassorilievi, non preoccuparti: è la sindrome di Stendhal. E non mi meraviglierei se l’Acropoli e il suo Museo te la provocassero davvero.
Non succederà invece alla Plaka, il quartiere di stradine strette, negozietti di souvenir, taverne e piccole palazzine neoclassiche in cui è piacevole passeggiare, a patti di scansare i (molti) turisti.
Atene è una città piuttosto bassa, senza grattacieli e alti edifici, ma con un paio di colline da cui il panorama è veramente affascinante. Una è quella dell’Acropoli, ma ancora più alta è il Licabetto, alla cui cima si arriva con una funicolare.
Non avere fretta di arrivare in cima. Ai piedi del Licabetto c’è Kolonaki, la zona chic di Atene, con bellissime case, negozi e negozietti, ristoranti e baretti. Meno traffico, più tranquillità. Comunque è in cima che si deve arrivare e qui tiri il fiato se sei arrivata a piedi o ne rimani senza dalla meraviglia se sei arrivata in funicolare.
Sarà l’altezza, ma la sindrome di Stendhal di può venire anche qui in cima, dove la piccola (ma molto graziosa) chiesetta bizantina di San Giorgio passa un po’ in secondo piano a causa del panorama meraviglioso tutto intorno.
Scendi adesso e dedicati ad altri due musei, che non puoi assolutamente perdere (altra sindrome di Stendhal in agguato). Il Museo di Arte Cicladica è probabilmente il mio preferito in tutta la città. Piccolo, è dedicato all’arte proveniente da quelle isole che, secondo la leggenda, erano nate in cerchio intorno all’isola sacra di Delo. Modigliani e Picasso, a giudicare dalle loro opere, ci devono aver passato un bel po’ di ore, davanti a queste statue (anche se non nel museo vero e proprio, inaugurato nel 1986). L’altro museo che mi ha stupita e rapita è il Benaki, fondato da Antonis Benakis e regalato alla città di Atene.
All’ultimo piano del Museo c’è un caffè-ristorante sulla terrazza con uno di quei panorami che Atene sa regalare. Vale la pena fermarsi per un lunch o uno spuntino.
Si dice che la cucina greca sia povera e composta da pochi piatti, sempre gli stessi. Un po’ è vero. Alla fine trovi sempre taramasalata e polipo arrosto. Ma da Barbounaki (4 Mitropoleos) e da Cherchez La Femme li assaggi in un ambiente carino, senza pretese, con i tavolini sulla piazza della cattedrale.
Se capiti ad Atene durante una stagione mite (praticamente tutte, ad Atene non fa mai freddo) puoi pensare di passare una giornata al mare. Be’, sì, non c’è bisogno di prendere una traghetto e spostarsi sulle isole per trovare una spiaggia bellissima e l’acqua più cristallina che ci sia. Basta fare una ventina di minuti di taxi e andare a Vouliagmeni, che è la ‘riviera’ degli ateniesi. Astir Beach è la spiaggia chic, con ristorantino shabby carino (si chiama Nice’n Easy) e dove l’ingresso ti costa circa 30 euro. Di fronte la spiaggia più popolare ma anche meno cara. A un quarto d’ora di passeggiata (o tre minuti di taxi) il Vouliagmeni Lake garantisce un bagno tutto l’anno, avendo l’acqua a 27 gradi.

L’estate ateniese è così lunga che gli ateniesi si dimenticano di avere anche un autunno e una primavera