Sono appena tornata da due giorni ad Amsterdam, funestati da una temperatura glaciale e da nevicate improvvise e improvvide. Pazienza. (se vuoi navigare per Amsterdam seguendo i miei consigli e scaricare la mappa di google che ti porta dritta dritta in tutti i posti, qui trovi l’ebook).
Perché Amsterdam con questo freddo?
Il tema del viaggio era la mostra di Vermeer al Rjiksmuseum e quella sono riuscita a vederla, nonostante le mille peripezie che ho dovuto fare per entrare. Biglietti non ce ne sono più, membership del museo (che permetterebbero di entrare senza prenotazione) nemmeno. Il sito va in crash ogni due per tre e, insomma, per vedere “la mostra del secolo”, come è stata battezzata da un giornale inglese, bisogna veramente avere santi in paradiso. Io li ho avuti. E sono riuscita a vederla.
Diciamo subito che la sua eccezionalità è dovuta al fatto che delle 37 opere che si conoscono di Vermeer (uno che non dipingeva come Picasso, per intenderci) in mostra ce ne sono 28. Ed è questa l’unicità. Essere riusciti a mettere insieme opere provenienti da vari musei del mondo (Washington, Dresda, Londra, per citarne qualcuno) in un colpo solo.
Il fatto è che nonostante le mille precauzioni del museo, che ha tolto dalla vendita praticamente tutto, che ha sospeso i press pass e ha intimato ai members di presentarsi minuti di documento di identità per vedere la mostra, le sale erano affollate. Troppo. Per vedere le opere (e menomale che erano solo 28) bisognava mettersi pazientemente in coda e sperare che quelli davanti a te non fossero degli appassionati di dettagli, di quelli che si mettono davanti a un dipinto e ci stanno ore. E sperare, anche, che di fianco non ci fosse uno “sgomitatore”, pronto a infilarsi in prima fila anche quando sarebbe toccato a te. Insomma, uno sbatti. Per fortuna c’è il sito del museo, fatto piuttosto bene, che permette di vedere le opere, una per una, 2.
Menomale che c’è altro
Finita la mostra ho fatto un tour guidato del museo con una guida. Tutto prenotato prima, ovviamente. Ma ugualmente godibile. Anche perché puoi chiedere alla guida cosa vuoi vedere in particolare. E io ho scelto gli olandesi del 1600, e cioè praticamente Rembrandt.
Il Nightwatch, il famosissimo dipinto gigante, era protetto da una vetrata e due studiose stavano arrampicate su un trespolo per poter studiare se fosse o meno il caso di ripulirlo dalla patina degli anni. Ma è stato ugualmente bello vedere come ci si approccia, scientificamente, a un dipinto del genere.
E Van Gogh?
L’ultima volta che ero stata ad Amsterdam, molti anni fa, il Museo Van Gogh era ancora in costruzione e sono quindi riuscita a vederlo questa volta.
Un museo grande, bello e moderno tutto dedicato a un solo artista è una ricchezza e una goduria. C’è la collezione permanente, con tanti di quei Van Gogh, famosi e meno famosi, che è un piacere vederli o rivederli.
In un’altra parte del museo c’era una mostra, interattiva, sul personaggio Van Gogh e sulla sua relazione con il fratello Theo, con il quale aveva un rapporto strettissimo, e la cognata Jo che, ho scoperto, è stata l’artefice della diffusione dell’arte di Vincent in tutto il mondo. Alla morte di questo e del marito, si è trovata con un bambino piccolo da allevare e con una mole di opere e carteggi dei quali non sapeva che fare. Metterli in cantina o trovare il modo di farli conoscere al mondo?
La strada giusta
Jo ha scelto di far conoscere a un pubblico più vasto possibile. Ha editato e pubblicato le lettere tra Vincent e il fratello, ha venduto alcune opere in modo strategico (a musei e collezioni che sapeva avrebbero dato risalto e conoscenza all’artista), ha sistemato i cataloghi. Grazie a lei, Van Gogh è quello che conosciamo oggi, invece di essere un pittore olandese (pur talentuoso) finito in manicomio, con un orecchio solo e che si è sparato un colpo.
La casa dei Van Loon
Ho visitato anche il Museo Van Loon, abitazione della omonima famiglia dal 1600. Una casa di grande bellezza e fascino nella quale si può vivere l’atmosfera da Downtown Abbey “upstairs/downstairs”, dove nel basement sono rimaste le livree dei domestici e ai piani alti i salotti e le camere da letto della famiglia.
Io mi sarei accomodata volentieri nella Sheep Room, qui sopra raffigurata, che aveva una fantasia alle pareti e sul copriletto molto affine al mio gusto.
Sorprendente anche la visita al Museo Anne Frank. L’avevo visto, ma anche questo molti anni fa quando il nuovo museo non era ancora stato costruito. Ora, intorno alla casa dalle povere stanzette in cui Anne e famiglia sono stati nascosti per due anni è stato costruito un museo molto bello. Non si possono fare foto e lo si visita in uno stato di doloroso raccoglimento. Alla fine trovi i libri in tutte le traduzioni possibili e un filmato in cui personaggi celebri (Barbra Streisand, Woopy Golberg tra gli altri) rendono omaggio alla ragazzina.
E lo shopping?
La neve non mi ha fermato, in questo caso. E mentre tornavo a ripararmi in hotel ho trovato per caso il negozio più pazzesco che potessi sperare di trovare.
L’Olanda è famosa per le porcellane, ma questo è il tempio più folle che si possa pensare. Non si riesce a camminare senza il timore, del tutto fondato, di rompere qualcosa, perché il negozio è totalmente strapieno di tazzine, piattini, ciotole, teiere. tutto ha dei prezzi basi o bassissimi e su tutto si aggira un’anziana signora che, non so come, riesce a volteggiare in mezzo a quel marasma senza calpestare niente. Naturalmente non ci sono insegne o scontrini, ma se vuoi sapere dove si trova, scrivimi che cerco di aiutarti.
A proposito di ceramiche, le piastrelle di Delft sono famose dal 1600. Ma ho scovato un posto dove puoi trovare piastrelline contemporanee, realizzate secondo il metodo tradizionale ma con disegni di oggi. Ci sono le città dell’Olanda, le città del mondo ma anche soggetti nei quali puoi trovare quello più affine a te.