Centinaia di stiker, graffiti e scritte in ogni lingua lasciano a malapena intravedere il rosso dei cancelli d’acciaio che chiudono da entrambi i lati la Herbertstrasse di Amburgo.

Poco più di 60 metri di strada nel quartiere di St. Pauli che concentrano, come una prigione o una campana di vetro, edifici colorati adibiti a bordelli. Alle finestre, grandi come vetrine, donne in stivali alti siedono su sedie di plastica illuminate dalla luce dei neon e vendono il loro tempo (e il loro corpo) al migliore offerente.

Questo il resoconto più o meno patinato di un turista curioso che ha attraversato la via da cancello a cancello. Mentre la mia amica ed io aspettiamo fuori, come imposto dalla scritta sia in tedesco che in inglese sui grandi cartelli esterni: “Vietato l’ingresso ai minori di 18 anni e alle donne”.

Con i suoi 2479 ponti sul fiume Elba, Amburgo è la seconda città della Germania per numero di abitanti e il secondo porto più grande d’Europa. Una Venezia nordica, cugina della vicina Amsterdam, di cui riprende l’architettura sospesa sui canali, le danno un’aria di potente leggerezza.

La città-stato di origine anseatica, però, non ha come unico primato quello del più alto numero di ponti. Amburgo, infatti, è anche casa del più grande quartiere a luci rosse d’Europa.

Lasciandosi alle spalle i locali hipster e le boutique vintage della parte più alternativa di St Pauli, un tripudio di luci, sexy shop, teatri e case di appuntamenti si distende per tutta la Reeperbahn. È qui dentro, superando la piazza intitolata ai Beatles – i caschetti del rock pop britannico furono di casa ad Amburgo tra il 1960/62 – che si trova Herbertstrasse, la via proibita alle donne.

Sin dai primi decenni del Novecento questa piccola via fu adibita alla prostituzione, confinando in quei pochi metri tutte le prostitute del quartiere portuale. Nemmeno le rigide leggi Naziste riuscirono a fermare quello che viene definito il “mestiere più antico del mondo” e così il quartiere amburghese rimase l’unico in Germania in cui la prostituzione, seppure illegale fosse tollerata. È in quegli anni che la polizia fece costruire i due alti cancelli rossi a chiusura della Herbertstrasse, non tanto per tutelare la privacy delle donne che vi lavoravano, quanto per nascondere la loro attività illecita.

È solo dopo anni di lotte femministe, sulla scia delle rivoluzioni culturali del ’68 che fu deciso di imporre il divieto ai minori e alle donne nella cosiddetta via della perdizione. Le prostitute del quartiere (oggi se ne contano circa 250 ufficiali) si mobilitarono fortemente negli anni ’70 per mantenere l’accesso limitato ai clienti ed evitare così che la via diventasse attrazione turistica di massa.

Ma il proibizionismo, si sa, non ha mai fermato la curiosità umana, anzi. Oggi la via, anche se non pubblicizzata nelle guide come il resto della Reeperbahn – in cui si organizzano visite del quartiere a luci rosse con le stesse prostitute a fare da guida – è meta del turismo più spicciolo e soccombe alla condanna del selfie con lo sfondo del cancello rosso.

Resta dunque da chiedersi se tale divieto alle donne, voluto dalle donne, sia ancora davvero necessario. Avrei voluto chiederlo a loro stesse, ma poi la minaccia di venire cosparsa d’uova, gavettoni e acqua bollente – sembrerebbe questa la punizione afflitta alle donne che hanno tentato di varcare il cancello proibito – mi ha trattenuto.

Dall’altra parte del ponte, infondo, c’è l’incantevole Speicherstadt al tramonto ad attendermi, con i suoi immensi edifici di mattoni rossi.

 

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