Vado a vedere il Louvre. Questa è stata la mia scusa per andare ad Abu Dhabi che di per sé non è esattamente una destinazione che avrei altrimenti preso in considerazione. Quando si parla degli Emirati Arabi Uniti, di cui Abu Dhabi è la capitale, si ha in mente Dubai. Un posto finto, dove gente ricchissima vive facendo lavorare gente poverissima, un divertimentificio per europei in cerca di sole e di caldo tutto l’anno. Un luogo che si è inventato da sé a tavolino quando ha scoperto che il petrolio non sarebbe durato a lungo. Una city-trash frequentata da eurotrash.
Scegliendo Abu Dhabi avevo almeno la scusa del Louvre, ma non sapevo cosa avrei trovato.
Abu Dhabi non esisteva fino al 1971. Ed è effettivamente un Paese di ricchissimi, seduto sul 9% del petrolio di tutto il mondo, dove la gente nasce con un PIL di 100.000 dollari (l’Italia, per fare un paragone, ne ha 30.000). Nonostante questo decide, non avendo altro che sole e un po’ di spiaggia, di puntare sulla cultura per attirare il turismo. Questo non puó che rendermelo simpatico a prescindere.
Il Louvre, inaugurato in novembre 2017, è un edificio bellissimo, progettato da Jean Nouvel. Immagina lo shutter di una macchina fotografica, che si apre e si chiude a seconda della luce. Moltiplicalo per migliaia e migliaia (8000 singole stelle metalliche) e hai un’idea di come è fatta la cupola grande 180 metri. La luce, sempre fortissima, filtra appena, lasciando l’interno in penombra e attenuando il biancore abbacinante dell’edificio, praticamente costruito sull’acqua. E cambia a seconda delle ore del giorno e dell’inclinazione del sole. L’acqua è tutta intorno all’edificio ed entra quasi al suo interno, tanto che in alcuni punti non sai se sei a Venezia e stai guardando la laguna o ad Abu Dhabi davanti ai grattacieli.
L’interno è composto da una trentina di sale suddivise in 12 capitoli; il claim recita ‘Un viaggio dalla preistoria all’arte contemporanea’, quindi si parte da ‘I Primi Villaggi’ e si arriva a ‘Un Palcoscenico Globale’. L’idea è quella di presentare un poutpourri di arte e dentro ci sta davvero di tutto: statue greche e romane, opere inca e azteche, pitture francesi, inglesi e spagnole, vasellame islamico, bassorilievi e sculture. E qualche nome grosso o grossissimo: Leonardo da Vinci, Giovanni Bellini, Murillo, Picasso, Monet, Manet, Van Gogh, Giacometti, Ai Wei Wei. In ordine sia cronologico che tematico.
Certo, per noi europei abituati alla National Gallery, agli Uffizi, al Louvre parigino tutta questa macedonia artistica fa un po’ sorridere e non possiamo non vedere un po’ di ingenuità nell’accostare tanto e tutto insieme. Ma io continuo a pensare che quel miliardo di dirham o dollari il governo di Abu Dhabi avrebbe potuto impiegarlo per costruire un mega parco giochi e invece li ha messi un museo. E ci ha perfino preso gusto, visto che sta progettando un Museo Guggenheim e che il cartello stradale poco prima del Louvre indica un Cultural Hub che ancora non esiste ma esisterà.
Non è stato il Louvre, comunque, la cosa che più mi ha impressionato, ma la Sheikh Zayed Grand Mosque. Ci sono arrivata dopo aver provato tutti i possibili outfit permessi: maniche lunghe, gambe coperte, caviglie invisibili, spalle nascoste. Inutile: quando arrivi ti danno un abito ‘adatto’ che infili spra i tuoi vestiti e dal quale non devi far comparire nemmeno una ciocca di capelli.

Devi vestirti come una suora per entrare nella Grand Mosque ma la visione, soprattutto al tramonto, vale qualunque sacrificio.
La Grand Mosque è un edificio recente, recentissimo. E’ stata costruita in … anni e inaugurata nel 2007. E’ la più grande moschea degli Emirati e durante Eid (la preghiera della fine del ramadan) può contenere fino a 41 mila persone. Misura 290 x 420 metri, una cosa enorme tutta ricoperta di marmo bianchissimo, coperta da 82 cupole di varia grandezza.
All’interno, nel luogo di preghiera, il tappeto più grande del mondo, tutto annodato a mano. Si cammina scalzi, donne e uomini pregano in luoghi separati (dove i non musulmani non possono entrare) e si gira in circolo intorno al colonnato.
E poi? Visto il Louvre, vista la Grand Mosque, snobbata la Ferrari Experience (a me non interessa proprio il genere, che comunque ha i suoi estimatori, e non tutti di sesso maschile), resta la spiaggia. Sabbia bianchissima, acqua azzurra, sole sempre presente, 12 mesi all’anno. C’è di peggio, lo ammetto perfino io che non sono un’amante delle giornate passate a cuocersi sul lettino.
E poi c’è il deserto, che amo di un amore viscerale. Non so cosa mi attiri verso quelle montagne di sabbia infuocata, che ti entra dappertutto, con il vento che ti annoda i capelli che poi non riuscirai a districare, l’aria che diventa bollente, l’orizzonte che si confonde e non vedi dove comincia il cielo color sabbia o dove finisce la sabbia color paglia. Il deserto di Abu Dhabi è a un’ora dalla città, in direzione di Al Ain. E a me basterebbe camminarci sulle dune. Naturalmente si può andarci in giro in 4×4, in quad, si può cercare di fare surf (non esattamente facile). Io ci ho portato il mio drone, la mia camera, e ho fatto foto. E questo paesaggio sempre uguale ma che cambia come cambia il vento mi ha affascinanto anche questa volta.
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La via del caffè
Siamo nel paese più ricco del mondo, nessuna sorpresa quindi che i gusti degli sceicchi abbiano influenzato perfino il cappuccino da bar. Da Alba, all’interno del Ritz Carlton Hotel, il cappuccino viene spruzzato d’oro a 22 carati, servito con due macarons e un bicchiere d’acqua profumata al gelsomino. Da Le Café, all’interno dell’Emirate Palace, il cappuccino non solo viene spruzzato con scagliette d’oro ma la schiuma viene decorata con una lingua di cioccolato che forma il disegno di una cupola in stile moresco. Roba da mille e una notte. Se invece preferisci assaggiare il caffè di tradizione araba vai al Galleria Mall, da Café Bateel e ordina il ‘Signature Qahwa’ che viene servito con datteri o il ‘Cafè Dhibs’, un caffè con uno strato di sciroppo di datteri e panna montata per finire.
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Se vuoi saperne di più su un Paese tanto diverso culturalmente come gli Emirati Arabi leggi il libro di Deepak Unnikrishnan, un professore universitario indiano che ha vissuto ad Abu Dhabi per diversi anni e ha raccontato le storie dei tanti emigranti che hanno costruito il Paese.
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